La via selvatica è una rassegna di 12 conversazioni con altrettanti personaggi della cultura, dello sport, dell’esplorazione, della scienza. La prima è stata il 12 settembre con il funambolo Andrea Loreni
Parlare di altezze, vuoti, paura di cadere con chi per mestiere cammina su corde d’acciao tese su voragini e accorgersi che a guidare la conversazione è una profonda serenità produce una certa beatitudine. E allungheresti la conversazione per ore, mano a mano che scopri che dialogare di altezze, voragini e di un lunghissimo filo d’acciaio da percorre tenendosi in equilibrio con un bilancere lungo 8 metri e pesante 12 chili è in realtà un modo di parlare di temi universali, di paura, appunto, ma anche di fiducia in se stessi, di capacità di mettersi in gioco, di assumersi con consapevolezza i rischi… Benvenuti a La via selvatica, 12 conversazioni * con altrettanti personaggi della cultura, dello sport, dell’esplorazione, della scienza che il giornalista Matteo Caccia ha curato per riflettere sulla parte più autentica, verace, primordiale celata in tutti noi.
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La vita selvatica
A presentare i dialoghi, ospitandoli in luoghi non a caso intatti e autentici, è il Gruppo Vitivinicolo Ceretto, i cui vini sono il risultato autentico, appunto, di vigneti coltivati attraverso l’agricoltura biologica, senza dunque alcun utilizzo di concimi, diserbanti, insetticidi. Ad aprire le conversazioni – una al mese, le prime è stata il 12 settembre sul sito www.ceretto.com, dal prossimo marzo invece dal vivo, è il performer Andrea Loreni, filosofo, funambolo (sì è l’unico funambolo in Italia specializzato in traversate a grandi altezze), autore di un libro uscito da poco (Breve corso di funambolismo per chi cammina col vento, Mondadori), formatore e speaker in università e multinazionali, a cui propone laboratori teorici ed esperienziali sulla gestione della paura, del disequilibrio, del cambiamento.
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A guardare le tue camminate sospese nel vuoto, lassù, ad altezze vertiginose viene il batticuore. Tu, Andrea, come fai a tenere a bada la paura?
Non cercando di tenerla a bada. Se cerchi di controllare la paura o, peggio, di bloccarla, ti ci si ritorce contro: ne hai di più e ti danneggia. Noi siamo tanto più liberi quanto più accettiamo di avere paura, direi anzi quanto più la accogliamo. Quando non siamo disposti ad accettarla, la paura diventa un limite, e ci incatena.
Ma tu hai paura quando cammini sul filo a 100 metri dal suolo? Non temi, per esempio, che un rumore improvviso o la perdita della concentrazione possano bruscamente sbilanciarti?
Certo che ho paura, paura come la prima volta: è dacchè ho preso il cavo che ho paura. Ho paura di cadere, ho paura della morte, delle ferite. E ho paura di quello che non so o non conosco. Ma con il tempo ho imparato a farci pace, e oggi cammino sospeso portando la paura con me. Oggi sono sereno nonostante la paura.
Cosa vuol dire, concretamente, accogliere la paura?
Vuol dire non perdere tempo ed energie – la paura dissipa le energie – a lottare contro questo sentimento ancestrale, non sprecare energie a pensare a come gestilo o dominarlo, e neanche a sfidarlo. Meglio viverlo, concedersi di avere paura, sapendo comunque che solo avendo paura si può mettere la giusta attenzione nel camminare attraverso i vuoti della vita.
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Credo che la paura sia uno dei sentimenti dominanti della contemporaneità. E lo era già dapprima che il Covid ne seminasse di ulteriore, e in abbondanza. Ma la paura è vissuta da tutti noi come un’emozione scomodissima, da scacciare appunto. Secondo te perché?
Perché non riusciamo a staccarci dalle abitudini che ci danno sicurezza, da ciò che conosciamo già, dai beni a cui ci attacchiamo e riteniamo indispenabili, dagli schemi e dai ruoli, anche quelli professionali, in cui ci identifichiamo. E’ a causa dell’attaccamento a tutto ciò, e per la paura di perderlo, che abbiamo paura del futuro. Ma in questo modo, continuiamo a perpetuarci identitici, rigidi e sempre necessariamente spaventati, mancando di spalancarci a nuove possibilità e magari di trovare la nostra vera strada, quella che realizza il nostro sé più autentico. Il primo passo verso l’autenticità è scegliere di lasciare indietro qualcosa per andare avanti e trovare altro.
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Stai dicendo che gli esseri umani hanno più paura di ciò che sta dietro a loro piuttosto che di ciò che ci sta davanti?
Esattamente. La più grande paura, infatti, è l’ignoto, il vuoto: il vuoto dà le vertigini perché è la mancanza di riferimenti stabili, solidi. Eppure è dove c’è il vuoto, è in quel nulla che ci sono possibilità di scoperta illimitate.
E infatti tu nei vuoti apri strade, individuando nel paesaggio due punti tra gli infiniti possibili e posando tra di loro il cavo lungo il quale realizzerai poi la traversata: hai steso cavi nei vuoti tra le montagne, nei cieli di molte città, italiane e straniere, lo hai fatto anche in Giappone, dove una tua storica traversata ha simbolicamente unito le arti che pratichi da tempo, lo Zen e il funambolismo. A me sembra un po’ la metafora di chi per mestiere innova.
Salire lassù, infatti, significa soprattutto cambiare prospettiva e guardare le cose da un altro punto di vista. Significa concedere spazio all’impossibile, all’inaspettato. Il funambolo immagina strade dove non ce ne sono e dove non si pensa neanche che ce ne possano essere. Il solo modo di farlo è liberarsi di ogni sovrastruttura e pregiudizio negativo e lasciare spazio alla possibilità.
Nel tuo libro, semini qua e là consigli percorribili quotidianamente: “Metti in dubbio le tue certezze”, “Impara a stare scomodo”, “Il controllo è un’illusione”, “Dove gli altri vedono solo due punti, tu traccia una linea”… E parli anche di gestione consapevole del rischio. Cosa intendi?
Il rischio è ovunque, perchè vivere è un rischio, ma noi non ne siamo consapevoli: andare in auto, in bicicletta ci espone al pericolo in ogni istante, solo che ce lo dimentichiamo. La differenza è che sul filo ci facciamo carico del rischio, lo accettiamo e lo viviamo per quello che è, ossia una parte imprescindibile del nostro essere e del nostro agire. Valutare il rischio per quello che è, non per quello che si pensa che sia: vuol dire essere lucidi anche sotto pressione, anche quando si ha paura e nonostante ciò si è chiamati a esprimere tutto il proprio potenziale.
Sei un performer di successo. Hai lavorato anche per la tv, per il cinema… Ma persegui una vita autentica. Come vede il successo personale chi pratica lo zen?
Io credo che ciascuno di noi è già un essere illuminato e che perciò non dobbiamo fare nulla per arrivare alla nostra illuminazione: semplicemente si tratta di essere ciò che siamo, ovvero seguire la nostra natura più autentica, trovare il nostro punto più vero e, da lì, incamminarci lungo quella strada.
E’ facile che tutto il resto, anche il successo sì – economico o sociale che sia – , a un certo punto arrivi, di riflesso, da sé, con naturalezza.
*Dopo la conversazione con il funambolo Andrea Loreni, il 12 settembre, ogni 12 del mese seguiranno i dialoghi con:
Paolo Pejrone, paesaggista (12 ottobre 2020)
Mauro Berruto, allenatore sportivo (12 novembre)
Ana Ros, chef (12 dicembre)
Emilio Previtali, esploratore (12 gennaio)
Ambrogio Beccaria, navigatore (12 febbraio)
Luca Mercalli, meteorologo (12 marzo)
Mia Canestrini, lupologa (12 aprile)
Nadia Terranova, scrittrice (12 maggio)
Franco Cardini, storico (12 giugno)
Tommy Kuti, musicista (12 luglio)
Stefano Bartezzaghi, semiologo (12 settembre)