L’autore del pezzo è il Managing Partner Italy di Plug and Play. Ci racconta la sfida che si è posto stando alla guida in Italia della più grande piattaforma di open innovation del mondo
Un anno fa, oggi, si teneva il lancio di Plug and Play Italy (leggi qui l’articolo). Nei primi 12 mesi più di 150 startup, 80% internazionali, si sono incontrate con i nostri corporate partners, che nel frattempo sono raddoppiati, abbiamo fatto il nostro primo investimento e trovato un nuovo spazio in via Meravigli 7, dove ci trasferiremo a Maggio (Covid-19 permettendo). Ma soprattutto ho imparato tanto, tornando a casa dopo 6 anni all’estero.
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Quanto valgono le startup italiane?
C’è tanto potenziale non ancora sfruttato. Abbiamo sentito tanti pitch di imprenditori preparati, con conoscenza tecnica e forti esperienze, ma spesso manca l’attenzione al primo criterio di decisione per un VC: la crescita del fatturato. A volte questa c’è ma la si tralascia per porre troppa enfasi sul prodotto in sé, o si punta a mercati troppo piccoli. Un po’ è inevitabile in un ecosistema ancora piccolo e in un paese dove scalare è molto complicato, ma basterebbe poco per fare il salto, come trovare un co-founder più orientato al business e che sappia parlare la lingua degli investitori. Di tecnologie, idee, business models innovativi ce ne sono tanti – come Plug and Play Italy siamo alla ricerca dei founders più ambiziosi: se state raccogliendo un seed round scriveteci!
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Alle corporates interessa l’open innovation?
A poche, ma sono in aumento. Ci sono grandi aziende, leader a livello internazionale per la qualità dei loro prodotti, guidate da managers illuminati e pratici che apprezzano lo stile informale, agile e veloce della Silicon Valley. Purtroppo è un cerchio ristretto. Da un lato, ci sono innovation managers di grandi gruppi che si scontrano con realtà lente e burocratiche. Dall’altro, ci sono tante aziende tradizionali che vedono le startups come un fenomeno “folkloristico” piuttosto che un’opportunità di innovare i propri servizi, abbassare i costi o conquistare nuovi mercati. L’economia italiana è fatta di tante imprese medie di questo tipo, per cui le startups potrebbero essere catalizzatori non solo di innovazione, ma dei veri e propri cambiamenti culturali. Ne abbiamo viste le prove nei primi mesi con i nostri partners, che hanno rinforzato la nostra convinzione che l’open innovation debba partire da startups mature, con prodotti già pronti, e in questo caso il nostro network internazionale fa la differenza.
Diventeremo mai un paese per giovani talenti?
La strada è ancora molto lunga. Milano, hub economico con le sue università di livello mondiale, esibisce i trend delle città “superstar” come Londra, Shenzhen, San Francisco, ma con una massa critica enormemente inferiore. Roma, invece, è tra le pochissime metropoli mondiali da cui, nel secolo delle città e dei giovani talenti, le nuove generazioni scappano.
Tra le tante regioni anche del Nord troppo ancorate al passato, l’Emilia Romagna è stata una bella sorpresa – non solo a Bologna ma perfino negli altri capoluoghi l’attaccamento al territorio si percepisce anche nell’innovazione, in controtendenza rispetto all’accentramento geografico che colpisce qualsiasi paese al mondo. Però capita spesso di sentir dire dai managers di mezza età “in Silicon Valley avranno le tecnologie migliori ma la ricchezza c’è anche qua e si vive meglio”. Basta! I ventenni ambiziosi vogliono andare su Marte o accelerare la transizione energetica, non mangiar bene.
Quindi, ottimista o pessimista?
Pronto a combattere. Sta a noi cambiare la mentalità, perché il potenziale in molti casi c’è ed è enorme. Soprattutto quando si parla di persone – ci sono tantissimi giovani di talento ma con poche opportunità, come ho visto nelle tante scuole di periferia da Nord a Sud che raggiungiamo attraverso Poliferie (l’associazione di volontariato che ho fondato a fine 2017). Non avremo mai mercati giganteschi come Cina e Stati Uniti, ma non possiamo rinunciare a tecnologie ad alto valore aggiunto, digitalizzazione di massa e città dove tutti i giovani possono costruirsi un futuro migliore. Soprattutto se questa volta vogliamo riprenderci in fretta dalla recessione appena cominciata. Per questo puntiamo a diventare la piattaforma principale per far si che startups internazionali aiutino le aziende italiane medio-grandi a innovare. E soprattutto inserire in questo ecosistema i migliori founders italiani, pronti a partecipare ai loro seed round oppure “accelerarli” attraverso i nostri contatti con 400+ corporates in 16 paesi, senza chiedere nè fee nè equity.