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Vi proponiamo l’articolo di Valerio Mammone nella rubrica dedicata al mondo del lavoro di Redbull.com. La realtà virtuale a bordo della Toro Rosso di F1 sarà tra le attrazioni di #SIOS17
L’articolo riprende la rubrica dedicata al mondo del lavoro di Redbull.com. Potrete sperimentare la realtà virtuale della Toro Rosso di F1 il 18 dicembre a StartupItalia! Open Summit
Nel 1895 al Salon indien du Grand Café di Parigi i fratelli Lumière proiettarono uno dei loro più famosi cortometraggi: “L’Arrivée d’un train à La Ciotat”. Secondo una leggenda che si è diffusa a partire dagli anni Cinquanta molti spettatori, vedendo il treno farsi sempre più vicino, fuggirono terrorizzati per paura di essere investiti. Paradossalmente l’avvento della realtà virtuale immersiva ci ha fatto fare un passo indietro nel tempo: quando indossiamo un visore le nostre reazioni non sono poi così diverse da quelle degli spettatori dei primi cortometraggi muti e in bianco e nero. Oggi come allora stiamo imparando a conoscere un nuovo mezzo – non più d’intrattenimento, ma esperienziale – che a differenza del cinema trasforma gli spettatori in protagonisti, rendendo il tutto ancora più vivo e carico di adrenalina.
«A Polignano a Mare durante il Red Bull Cliff Diving il pubblico ha avuto l’opportunità di immedesimarsi negli atleti e di vivere l’esperienza del tuffo con i propri occhi», ci ha raccontato Luca Curto, Artist&Executive Director di Digital Lighthouse, un’azienda di Potenza leader nel settore dell’intrattenimento digitale. «C’è chi si è tolto gli occhiali dopo essersi lanciato dal trampolino, chi è caduto perché l’impatto con l’acqua è stato forte, chi ha cominciato a nuotare una volta finito in mare e anche chi ha mimato la salita sulle scalette che portano al trampolino. Ma le scalette, come tutto il resto, erano virtuali».
Quando c’è bisogno di energia
L’esperienza del RedBull Cliff Diving è stata curata nei minimi dettagli: prima di lanciarsi dal trampolino gli avatar hanno potuto testare la distanza che li separava dall’acqua lasciando cadere una scarpa in mare. Una volta immersi hanno potuto ammirare il fondale o ascoltare gli applausi ovattati del pubblico diventare sempre più nitidi durante la risalita in superficie. Per raggiungere il trampolino hanno seguito un tragitto prestabilito (ma reale) ricostruito in scala 1:1 (come il resto del paesaggio circostante). Questa accuratezza è il frutto di un’intuizione unica. Digital Lightouse è nata nel 2015 come costola del gruppo Geocart, leader nel settore del rilevamento del terreno tramite laser scanner: uno strumento di precisione usato in ambito ingegneristico (per esempio per misurare il livello di stabilità dei ponti), che scansiona lo spazio a 360 gradi, acquisendo fino a un milione di punti al secondo: l’idea è stata quella di applicare questa tecnologia al mondo del gaming tradizionale e immersivo.
«A Polignano – racconta Luca – abbiamo inviato una squadra di terra munita di laser scanner e macchine fotografiche 8k (ad altissima risoluzione), che in soli due giorni ha mappato la zona in cui si è svolto l’evento e registrato tutti i dettagli e i colori, permettendoci così di ricostruirla interamente e fedelmente in digitale. Ed è qui che intervengo io». Luca è il responsabile della regia artistica: l’ultima parola sul percorso dell’avatar spetta a lui. Il suo obiettivo è far immergere l’avatar nell’esperienza – altrimenti invivibile – dell’atleta, con tutto il suo carico di adrenalina ed energia: «Uno dei miei momenti preferiti è il passaggio dal silenzio assoluto al boato del pubblico, prima e dopo il tuffo». Anche i movimenti dell’avatar sono estremamente realistici. In questo caso la tecnica usata si chiama “motion capture” (ed è la stessa usata nei videogiochi di calcio tipo FIFA): «Per registrare le movenze facciamo entrare gli atleti in un cubo asettico e con una luminosità piatta, poi li rivestiamo di sensori che catturano i loro movimenti. È un po’ come cucire un vestito su misura, ma al tempo stesso personalizzabile».
C’è poco tempo e bisogna fare presto
Se nel Red Bull Cliff Diving l’esperienza era guidata, in “Quirinale 3D VR” – un software per la navigazione virtuale del Piano Nobile del Palazzo del Quirinale ricostruito in 3D – l’utente è completamente libero di muoversi, di scegliere la prospettiva di osservazione e di interagire con le opere d’arte, accedendo a contenuti di approfondimento multimediali e interattivi. Per apprezzare la complessità del progetto e l’energia spesa da Digital Lighthouse per realizzarlo basta dare un’occhiata ai numeri: il team ha ricostruito in digitale 600 oggetti tra orologi, tavoli, sedie, vasi, busti ed elementi di arredo, 160 tra quadri e arazzi e 36 lampadari. La superficie mappata con i laser scanner è stata di 57.800 metri quadrati: «La rilevazione degli ambienti – spiega Luca – è stata molto articolata e non solo per l’ampiezza del Piano Nobile: la presenza di fregi, stucchi e affreschi ad altezze considerevoli (fino a 21 metri) e i frequenti cambiamenti di luce hanno complicato il lavoro. Considera che i rilievi sono avvenuti durante il giorno: per non intralciare il pubblico e per fare in modo che il pubblico non intralciasse il nostro lavoro intaccando la qualità geometrica, fotografica e artistica del prodotto abbiamo fatto praticamente i salti mortali».
Perché lavorare di più quando puoi lavorare meglio?
Pianificazione e improvvisazione sono due componenti fondamentali del lavoro di Digital Lighthouse. Nel progetto dedicato al Quirinale però l’improvvisazione ha preso il sopravvento: «Dopo il primo sopralluogo – racconta Luca – abbiamo abbandonato ogni strada conosciuta e abbiamo deciso di costruire nei nostri studios degli strumenti che abbiamo chiamato “curiosity”, per la loro somiglianza (solo estetica) con il Rover, il robot che esplora Marte». “Curiosity” è una piattaforma meccanica mobile che può essere manovrata da remoto tramite computer: questa piattaforma è dotata di un braccio meccanico e di un supporto per tele e fotocamere, per poter scattare fotografie anche ad altezze notevoli. «In questo modo abbiamo agevolato il pubblico limitando la nostra presenza nelle stanze del Quirinale, e siamo riusciti a fotografare anche le zone più impervie senza ingombrare gli ambienti con le impalcature».
Il successo è un lavoro di squadra
Come ogni progetto pionieristico quello di Digital Lighthouse si scontra quotidianamente con un limite: l’assenza di un modello da seguire. «Nella maggior parte dei casi lavoriamo su obiettivi di frontiera, dove soluzioni tecniche e scelte artistiche non hanno precedenti dai quali trarre ispirazione. Per questo investiamo tantissimo in termini economici e di tempo, in sperimentazione e ricerca, dedicando oltre il 30% del nostro lavoro alle fasi di testing». Digital Lighthouse è riuscita a individuare soluzioni innovative e adatte a ogni contesto e gran parte del merito è del team, estremamente variegato e multidisciplinare, composto da 16 persone (che diventano 30 se si considerano anche i collaboratori) tra ingegneri, professionisti del cinema, 3D&digital artist, game programmer&designer, esperti in beni culturali, tecnici e operatori. «È fondamentale che queste realtà – che in genere non si ritrovano mai sotto lo stesso tetto – interagiscano tra loro», dice Luca.
Come ogni progetto pionieristico quello di Digital Lighthouse si scontra quotidianamente con un limite: l’assenza di un modello da seguire. «Nella maggior parte dei casi lavoriamo su obiettivi di frontiera, dove soluzioni tecniche e scelte artistiche non hanno precedenti dai quali trarre ispirazione. Per questo investiamo tantissimo in termini economici e di tempo, in sperimentazione e ricerca, dedicando oltre il 30% del nostro lavoro alle fasi di testing».
Digital Lighthouse è riuscita a individuare soluzioni innovative e adatte a ogni contesto e gran parte del merito è del team, estremamente variegato e multidisciplinare, composto da 16 persone (che diventano 30 se si considerano anche i collaboratori) tra ingegneri, professionisti del cinema, 3D&digital artist, game programmer&designer, esperti in beni culturali, tecnici e operatori. «È fondamentale che queste realtà – che in genere non si ritrovano mai sotto lo stesso tetto – interagiscano tra loro», dice Luca. L’obiettivo è ambizioso: cambiare il modo di divertirsi e di apprendere (l’azienda sta sperimentando anche progetti di realtà virtuale immersiva dedicati all’istruzione), trasformando quelli che un tempo erano semplici spettatori nei protagonisti di un’esperienza indimenticabile.