La tennista italiana sarebbe risultata positiva a gennaio, ma sta preparando la sua difesa assieme alla FIT. Sul tema, Netflix ha appena rilasciato un nuovo documentario che racconta l’indagine WADA che proverebbe il coinvolgimento diretto del Governo di Mosca
Aggiornamento ore 16:00 – La Errani ha postato su Twitter la sua spiegazione per quanto accaduto. Spiegazione accettata anche dal tribunale che ha riconosciuto la sua buona fede, comminandole solo due mesi di squalifica.
— Sara Errani (@SaraErrani) August 7, 2017
Manca la comunicazione ufficiale, ma sulle pagine del Corriere della Sera ci sono indiscrezioni che raccontano bene tutta la questione: la tennista Sara Errani, una delle più forti italiane in attività , sarebbe risultata “non negativa” a un test anti-doping dello scorso gennaio, e starebbe lavorando di concerto con la Federtennis (FIT) a una difesa sul caso. L’atleta rischia una squalifica importante, visto che la sostanza proibiti individuata fa parte di una categoria ritenuta particolarmente significativa per quanto attiene la modifica delle prestazioni.
Il caso Errani
Stando a quanto raccontato dal Corsera, il test che ha individuato tracce di Arimidex nelle urine di Sara Errani risalirebbe all’inizio del 2017: l’anastrozolo è una sostanza normalmente impiegata nel trattamento del carcinoma al seno, dunque non avrebbe alcun motivo per trovarsi nell’organismo di un’atleta sana. Per questo è inserito nella categoria S4 delle sostanze dopanti poiché ritenute “stimolatori ormonali e metabolici”: se verrà confermata la “non negatività ” e ITF (la federazione internazionale del tennis) deciderà di procedere contro Sara Errani, per la sportiva si potrebbe prospettare una squalifica importante.
In questi mesi Sara Errani ha lavorato di concerto con la FIT per elaborare una strategia difensiva: le indiscrezioni del quotidiano milanese puntano sulla possibilità che sia avvenuta una contaminazione di uno degli integratori che la tennista assume, circostanza resa più verosimile anche dal fatto che di recente la Errani ha cambiato allenatore e metodo di preparazione. Nel frattempo Sara ha comunque continuato a giocare, sebbene la sua presenza si sia fatta più sporadica nelle ultime settimane – forse proprio per consentirle di rientrare in Italia, sottoporsi a test approfonditi e concertare al meglio la sua difesa.
Icarus, il caso del doping di stato su Netflix
Il tema del doping è estremamente complesso: da anni si sospetta che sia ben più diffuso tra i professionisti di quanto non dicano i test anti-doping, e la vicenda della Russia e del presunto doping di stato è stata raccontata nel documentario Icarus (premiato al Sundance) che è appena stato reso disponibile su Netflix. Il regista Bryan Fogel, ciclista amatoriale e grande fan di Lance Armstrong (almeno fino allo scandalo che ha svelato il doping del campione), voleva provare a valutare le differenze nelle sue prestazioni in una gara per dilettanti con e senza doping.
https://www.youtube.com/watch?v=iFou7v-btAg
Proseguendo su questa strada Fogel si è ritrovato suo malgrado al centro dello scandalo che ha coinvolto il laboratorio di stato russo che avrebbe dovuto vigilare sulla pulizia degli sportivi: fino a diventare di fatto il portavoce dell’ex-direttore di quel laboratorio, Grigory Rodchenkov, diventato uno dei principali informatori dell’inchiesta WADA (World Anti-Doping Association) che ha stabilito come ci siano prove relative alla manomissione dei campioni degli atleti russi nel corso delle Olimpiadi di Sochi 2014, anche grazie all’intervento dei servizi segreti ex-sovietici (FSB) e con il benestare persino di membri del Governo di Mosca compreso Vladimir Putin.
Icarus è un documentario molto lungo, oltre 2 ore, che fallisce nel tentativo di rendere un legal-thriller la vicenda russa: tuttavia riesce a chiarire molto bene la situazione attuale dello sport professionistico, in cui chi vuole può tranquillamente fare uso di doping e farla franca, e in cui la autorità preposte al contrasto di queste pratiche fuorilegge spesso si ritrovano con armi spuntate. La riammissione a Rio 2016 di quasi tutta la delegazione russa, compresa la molto discussa squadra di atletica, nel racconto di Fogel dimostrerebbe quali siano le reali priorità in campo.