Intervista a Stefano Firpo, direttore generale per la politica industriale al Mise, che racconta tre anni di leggi sulle startup, cosa è stato fatto e cosa manca
La normativa italiana dedicata alle startup innovative ha da poco spento la terza candelina e tante sono le cose successe in questo settore negli ultimi 36 mesi.
- Le giovani società iscritte al registro speciale di InfoCamere hanno superato abbondantemente le 5000 unitàL
- E’ nata la nuova categoria delle Pmi innovative, sono stati avviati progetti dal respiro internazionale come Startup Visa;
- E’ stato introdotto il credito d’imposta per chi investe in Ricerca & Sviluppo (e quindi anche sulle startup innovative);
- E’ cominciato un percorso di sburocratizzazione per quanto riguarda la costituzione di una nuova società;
- Altre cose stanno cambiando proprio in questi giorni, come ad esempio il regolamento Consob sull’equity crowdfunding,
Mentre molte altre sarebbe dovute accadere ma ancora non sono successe. Prima fra tutte: mancano gli investimenti privati, in un settore, quello dell’innovazione, ancora troppo sostenuto dai soldi pubblici.
Che sia colpa della normativa oppure no, a constatare questo fatto è lo stesso Stefano Firpo, attuale direttore generale “per la politica industriale, la competitività e le PMI” al ministero dello Sviluppo economico, dove è arrivato insieme a Corrado Passera e dove proprio con quel ministro ha cominciato a occuparsi di startup e incubatori, ideando e costruendo normativamente le coperture finanziarie dei provvedimenti che le riguardano. L’abbiamo intervistato per fare insieme a lui un punto su questi ultimi tre anni e capire anche cosa dobbiamo aspettarci dai prossimi.
Cosa ha funzionato meglio e cosa peggio in questi 3 anni di normativa delle startup innovative?
Ha funzionato tutto abbastanza bene secondo me, la normativa è ampiamente utilizzata. Ormai tutte le nuove imprese con una componente di innovazione, direi tre su quattro, si iscrivono al registro speciale. Poteva essere un totale buco nell’acqua, e invece, devo dire che il tasso di adesione alla normativa è rimasto costante e incredibilmente elevato.
Cosa prevede decreto interministeriale Mef-Mise sugli incentivi fiscali e quando entrerà in vigore?
Qui bisogna fare un po’ di ordine, prima di tutto si tratta di un rinnovo di un decreto che è già esistente ed è quello sugli incentivi fiscali per gli investimenti in equity in startup. C’è un nuovo decreto che sostituisce l’esistente, rivisto perché sono cambiate le regole sugli aiuti di Stato (il tetto di investimento ammissibile per ciascuna impresa beneficiaria passa da 2,5 a 15 milioni per periodo d’ imposta ndr). Abbiamo avuto l’ok della Commissione europea un mese e mezzo fa, stiamo aspettando la pubblicazione ufficiale della notifica e appena questa comunicazione arriverà i ministri firmeranno. Si tratta però di una norma ormai incanalata, esiste già il decreto attuativo vecchio e continua ad essere vigente, si tratta solo di un ritocco della normativa.
Quello che rimane da fare è l’estensione di questi benefici fiscali alle Pmi innovative, che può esser fatto però solo dopo aver chiuso il tema degli incentivi per le startup innovative. Quello che si farà per le Pmi innovative sostanzialmente mutuerà ciò che è stato fatto per le startup. Dal punto di vista del mondo startup tutto è stato attuato, la normativa è vigente e funzionante e non c’è nessun decreto attuativo ulteriore da fare, manca solo estensione alle PMI innovative.
Su cosa bisogna intervenire e quali saranno i prossimi interventi?
Una cosa su cui bisogna lavorare di più è mettere maggiormente in contatto l’ecosistema dell’innovazione e quello dell’impresa tradizionali. Bisogna farli lavorare di più insieme, perché fino a quando questi due mondi resteranno autonomi e indipendenti si riuscirà di meno ad ottenere risultati stringenti. Dal punto di vista strettamente normativo, si possono ancora immaginare nuovi strumenti, ad esempio qualche incentivo fiscale in più sugli investimenti in equity, anche se penso che molto sia stato già fatto. Questi nuovi strumenti di aiuto per chi investe in equity potrebbero essere un po’ potenziati, rimodulati, si potrebbe fare un po’ di azione di fine tuning introducendo, ad esempio, dei meccanismi che permettano agli investitori istituzionali di trovare maggiori ragioni economiche nell’investire, su questo si può ancora un po’ lavorare. Anche se ad oggi, il quadro degli incentivi è abbastanza solido e completo.
Cosa manca ancora per dare la giusta spinta a questo settore?
Quello che ancora manca, che si vede troppo poco, è il capitale privato. Il mondo del venture capital italiano è ancora molto molto sussidiato dal pubblico. Il capitale privato lo si avvicina nel momento in cui finalmente le imprese tradizionali, grandi e medie, inizieranno a guardare al settore delle startup – e il mondo si sta muovendo in questa direzione in maniera abbastanza forte – come ad un posto in cui acquisire innovazione, competenze, trovare modelli di business. Se questi due ecosistemi inizieranno a mettersi in comunicazione l’uno con l’altro, allora nascerà e si consoliderà il corporate venture capital e inizieranno finalmente ad innescare meccanismi virtuosi di collaborazione.
È questa la direzione che sta prendendo il nuovo regolamento Consob sull’equity crowdfunding?
Certo, assolutamente sì. Si tratta di un ulteriore passaggio che rende più fruibile e semplice uno strumento molto innovativo per raccogliere capitali. Ma il tema vero è che ormai gli strumenti ci sono tutti, si possono fare operazioni di perfezionamento, ma ormai la strumentazione c’è ed e sia fruibile che completa. Ora veramente bisogna fare un’azione diversa e diffondere i casi di successo che iniziano ad esserci. Il fronte è la collaborazione tra il mondo dell’impresa tradizionale e l’ecosistema dell’innovazione, deve solo farsi sempre più forte.
Non sempre la definizione di startup innovativa mette tutti d’accordo. Si pensa di estenderla?
In questi ultimi anni, qualche piccolo cambiamento è stato già fatto e la definizione è stata resa ulteriormente flessibile e ampia. C’è ancora un tema aperto sul biotech, per il quale francamente cinque anni possono essere un po’ restrittivi, ma per il resto mi sembra che la definizione sia talmente ampia da non creare altri problemi. Ce lo conferma il fatto che solo una startup su quattro non si iscrive al registro, forse non lo fa semplicemente perché non è tanto innovativa. Francamente la definizione di startup innovativa è proprio l’ultimo dei problemi, abbiamo avuto due anni fa qualche critica e qualche intervento è stato fatto, al mio tavolo non ricevo lamentale in questo senso da almeno un anno e mezzo.