Il presidente ha bisogno di idee e sostegno per modernizzare la pubblica amministrazione statunitense. In cambio è disposto a fare concessioni per quanto attiene l’immigrazione
Prove tecniche di disgelo tra Washington e Silicon Valley: dopo essersi scontrato a più riprese con i massimi dirigenti delle grande aziende di tecnologia a stelle e strisce, sopratutto per ciò che riguarda il blocco all’immigrazione e l’uscita dagli accordi di Parigi sul clima, il presidente Donal Trump si è mostrato nelle ultime ore più disponibile ad ascoltare le istanze e le argomentazioni che arrivano dalla costa del Pacifico. Tutto, purché a lui e alla sua amministrazione non manchino l’appoggio e le idee che solo colossi come Google, Microsoft, Apple e tanti altri possono offrire. Lo stesso Trump ammette che il pubblico ha molto da imparare dal privato, e molto terreno da recuperare.
La prima tech week di Trump
Quella che è in corso è stata ribattezzata dallo stesso ufficio stampa di Trump come la “tech week”: sette giorni dedicati a incontri e gruppi di lavoro centrati sulla questione tecnologia nella pubblica amministrazione, un tema che sta a cuore al presidente anche e soprattutto perché si tratta di uno strumento che gli potrebbe consentire di ottenere lauti risparmi e garantirsi quei tagli alla spesa che sono stati cavallo di battaglia elettorale. Una sfida non da poco, visto che definire pachidermiche le dimensioni della PA a stelle e strisce è un eufemismo.
Dopo una giornata fitta di incontri nella capitale, la giornata di lunedì si è chiusa con una sorta di cena pubblica che ha visto seduti accanto a Trump alcuni dei CEO che sono stati tra i più critici nei suoi confronti. Tim Cook di Apple, Satya Nadella di Microsoft, Jeff Bezos di Amazon: loro, tra gli altri, a più riprese si sono dichiarati contrari alle politiche portate avanti dal 45simo presidente degli Stati Uniti, soprattutto per quanto riguarda il blocco attuato nei confronti dell’immigrazione. Un tema che sta molto a cuore a Silicon Valley, visto che è solita attingere a piene mani all’estero per reclutare i migliori talenti necessari a sostenere lo sviluppo tecnologico.
Trump ha già fatto sapere che è pronto a rivedere le proprie posizioni in merito, di fatto creando un varco nelle maglie strettissime che la sua amministrazione intende applicare all’immigrazione: le aziende hi-tech dovrebbero poter sfruttare eccezioni ad hoc per assumere specialisti di qualsiasi origine, continuando a restare leader nei propri campi.
Cosa può fare Silicon Valley per Washington?
In cambio, la presidenza si aspetta un aiuto sostanziale nel progettare, disegnare e magari anche realizzare una svolta tecnologica per i processi e l’infrastruttura della PA: in questo momento gli USA tengono in piedi qualcosa come 6.000 datacenter, alcuni parecchio datati e dunque parecchio costosi rispetto a quelli di ultima generazione, per far funzionare la complessa macchina amministrativa, e ci sono persino settori strategici come le forze armate che fanno ancora affidamento su tecnologie antidiluviane come il floppy disk.
Per riuscire a cavarsi da questa situazione, che Obama aveva già iniziato ad affrontare nel corso delle sue due amministrazioni, Trump spera nell’aiuto di Silicon Valley: ci sono centinaia di procedure burocratiche che dovrebbero essere dematerializzate, anche solo far sparire la carta costituirebbe un risparmio non da poco in termini di costi e di spazi. E ci sono altri temi in ballo, come ad esempio i big data, che potrebbero offrire un contributo decisivo: un’analisi moderna e puntuale dei centri costo attuali della PA potrebbe trasformare i proclama, fin qui piuttosto inconsistenti di Trump, da promessa elettorale in realtà.
Una fiducia da guadagnare
Quello tra Trump e Silicon Valley, in ogni caso, è un rapporto tutto ancora da costruire. Non è stato possibile non notare l’assenza di Elon Musk dagli incontri di lunedì, dopo che lo stesso Musk era uscito poche settimane fa da un team di consulenti che offrivano il proprio consiglio in materia di tecnologia proprio al neo-presidente. L’apertura sulle politiche di immigrazione è un primo passo, ma senz’altro i CEO arrivati nel Distretto di Columbia si attendono anche altri gesti concreti prima di aprire una linea di credito – e di competenze – che avvantaggi l’amministrazione attuale.