Le exit sono state 594, il 65% in più rispetto al 2014. Crescono anche capitali e investimento medio, soprattutto grazie alle acquisizioni. Le Ipo non prendono quota. Tutti i dati in un report di Tech.eu
Le exit del tech nel 2015 aumentano, sia per numero di operazioni che per movimento di capitali. Raramente passano dalla borsa. Meglio un’acquisizione di un’Ipo, specie nel mercato di casa propria. È stato l’anno di e-commerce e fintech. Ma non ancora dei venture capital. E l’Italia? È ancora periferia. Sono alcuni dei rilievi emersi dallo European tech exits report di Tech.eu.
I numeri: exit aumentate del 65%
Partiamo dai numeri, tutti in crescita. La cifra più fedele alla realtà è quella del numero di exit. Nel 2015 sono state 594. Nel 2014 erano state 358, il 65% in meno. Un balzo che si riflette sui capitali coinvolti, passati da 80,14 a 137,75 miliardi, e sull’investimento medio (da 641 a 719,7 milioni). Se il numero delle operazioni è una prova, quello degli investimenti è un (corposo) indizio. Perché a comporre la cifra sono solo le 190 operazioni delle quali sono stati svelati i numeri in ballo. Per le altre 404, niente certezze. Una scelta, quella della segretezza, più in voga nel 2015 rispetto all’anno precedente (+3%). Tradotto: buona parte degli investimenti è sotto il pelo dell’acqua. E il progresso potrebbe essere ancora più forte di quanto già non dicano i numeri in chiaro.
Insomma: un anno vissuto di corsa. Sin dall’inizio. Il primo trimestre del 2015, pur rimanendo il meno prolifico dell’anno, ha registrato 139 exit, raddoppiando le operazioni chiuse nello stesso periodo del 2014. Uno slancio proseguito nel secondo trimestre, il più fruttuoso grazie alle 160 exit. Con gli ultimi due quarti dell’anno chiusi con 145 e 150 deal.
Mettendo in fila le exit più corpose, primeggiano tre acquisizioni: Vimplecom (21,8 miliardi), EE (17.2 miliardi) e O2 (14 miliardi). WordlPay, prima impresa digitale e maggiore Ipo, è quarta (6,88 miliardi), seguita da un’altra digital, King (5,49 miliardi). Nella top 20 due italiane: Yoox (11esima) e Inwit (16esima).
Le Ipo non decollano (per ora)
Numeri diversi, stessa composizione. I tre piatti sulla bilancia delle exit hanno mantenuto lo stesso peso: le acquisizioni dominano, con fusioni e Ipo in netta minoranza.
Sulle 594 exit del 2015, le acquisizioni sono state ben 546, il 92%. Le fusioni 20, il 3,3%. Con una forte predilezione, in due casi su tre, per matrimoni tra società dello stesso Paese. Un dato che certifica come lo strumento venga usato soprattutto per consolidare la propria posizione nel mercato domestico di riferimento.
Gli approdi in borsa sono stati 28, il 4,7%. Il numero di Ipo è aumentato, ma rappresenta la stessa quota conquistata nel 2014. Le Ipo, quindi, hanno risentito del trend positivo che ha sostenuto l’intero mercato. Ma non sono riuscite a imporsi come nuova via d’uscita. Perché? I motivi sono soprattutto due. I mercati restano instabili, con una volatilità accentuata nel secondo semestre. Lo dimostrano, ad esempio, i casi di Deezer ed HelloFreesh: entrambi hanno rimandato (proprio sul finire dell’anno) la quotazione, nonostante dieci Ipo (il 35,71%) si siano concentrate propri nell’ultimo trimestre.
Oltre alla congiuntura, c’è anche un fattore strutturale: le imprese europee hanno sempre meno l’esigenza di andare sui mercati perché sono capaci di reperire capitali altrove (come dimostra la solidità del dato sulle acquisizioni).
La top ten delle maggiori Ipo dell’anno è dominata da UK, con tre presenze su dieci. La Gran Bretagna conquista anche la vetta (per distacco) grazie a Worldpay. Seguono la spagnola Cellnex (3,24 miliardi), la tedesca Scout24 (3,2 miliardi) e l’italiana Inwit (2,19 miliardi).
Il venture capital arranca ancora, ma buona ripresa
Exit e venture capital non sono (ancora) una coppia fissa. I disinvestimenti dei VC sono stati 180, poco più del 30%. Ma solo due exit passate per i capitali di rischio sono nelle classifica delle prime 20 dell’anno: sono King (quinta con 5,49 miliardi) e Avito (14esima con 2,51 miliardi). Le due operazioni sono anche le sole a superare il miliardo. La terza, Showroomprive, si ferma a 660 milioni. La cifra assoluta cresce: le exit di società partecipate o possedute dai venture capital erano 130 nel 2014. La quota relativa, però, diminuisce dal 36.3% al 30.3%. Di fatto è una frenata.
La difficoltà di emergere si deve in parte al peso che in Europa hanno le tlc, imprese che raramente passano da VC o private equity. Il report indica però il rallentamento come un inconveniente piuttosto che come una tendenza. “Sarà naturale vedere più exit che coinvolgono i venture capital” nei prossimi mesi. La spiegazione sta, quantomeno, nella legge dei grandi numeri. Le società partecipate da venture capital non sono mai state così tante. La miccia è accesa: la ricaduta sulle exit è solo una questione di tempo. Con la borsa a rappresentare un canale importante. Già nel 2015, tre delle maggiori dieci Ipo (Showroomprive, Mimecast and WindeIn.de) hanno visto protagoniste società sostenute dai venture capital.
Tra i fondi d’investimento, il bomber dell’anno è Index, con 6 exit. Seguono Accel e HTG (con 5), Northzone, Battery Ventures, Bonsai, Amadeus Capital, Sequoia e Viola (con 4). L’unico italiano in classifica è 360 Capital, con 3.
E-commerce e fintech
Il 2015 è stato l’anno di e-commerce, telecom e fintech. Il primo settore, con 66 exit, scala quattro posizioni e si issa in cima. Impressiona il progresso del fintech, capace in un solo anno di quadruplicare il numero di exit (da 11 a 44). Merito di un cambio di prospettiva. Visto in passato come antagonista del sistema finanziario attuale, il fintech è oggi un mondo che riceve il sostegno dei grandi gruppi bancari (e dei loro capitali).
La geografia delle exit
La Germania vince sui numeri, ma è UK ad avere le casse piene. Le exit che hanno riguardato imprese tedesche sono state 119. Al secondo posto la Gran Bretagna, che però primeggia nella classifica dei capitali ricevuti. Fin qui solo conferme rispetto al 2014. I cambiamenti iniziano da qui: Israele, terzo, supera in un colpo solo Francia e Spagna. La Svezia di posizioni ne guadagna quattro, portandosi a ridosso dei migliori con 37 exit. L’Italia è 15esima con 9 deal.
Germania, UK e Israele vendono con successo. A comprare sono soprattutto gli Stati Uniti, che però iniziano a sentire la concorrenza dei Paesi europei. Nel 2014 un’impresa su tre volava oltreoceano. Nel 2015 la quota è scesa a una su quattro.
Cresce così il peso dell’Europa. Due volte sue tre, un’impresa tech europea vende a un’altra società del continente. E ancora una volta a guidare la fila sono Germania (con 104 acquisizioni) e UK (con 72). Non sorprende allora che i grandi compratori dell’anno siano tedeschi: ProSiebenSat.1, Rocket Internet e Ströer (accompagnata al terzo posto dalla francese Vivendi).
Scorrendo la graduatoria si notano alcune tendenze. La prima riguarda la predilezione degli investitori europei verso il proprio mercato domestico. RocketInternet, ad esempio, è uscita dai confini tedeschi solo per 2 exit su 7 (in Spagna e Italia).
Alcuni grandi player hanno spinto sulle acquisizioni per rafforzare il proprio core business. È il caso di Delivery Hero (con 5 operazioni), Helpling, BlaBlaCar e Zalando (con 4). Allo stesso tempo, le big corporation continuano a guardare con interesse all’Europa, con Apple e Microsoft che fanno segnare 5 acquisizioni a testa.
Le exit in Italia, di rilevanti solo Pizzabo e VisLab
Se si guarda all’Europa, l’Italia è – al momento – periferia. Le exit sono state 9. Una cifra fa dell’Italia il 15esimo Paese in Europa per numero di deal. Due passi avanti all’Ucraina. Senza guardare alla Germania e alle sue 119 exit, l’Italia fa un terzo della Svizzera, un quinto della Svezia e un settimo di Israele. L’anno scorso di rilevanti si sono registrate solo quella di Pizzabo venduta a Rocket Internet per 51 milioni e VisLab ceduta agli americani di Ambarella per 30 milioni.
I capitali non si muovono con velocità sufficiente. Il Paese non emerge né guardando ai venture capital né osservando le grandi manovre di concentrazione verticale. Nella graduatoria dei VC che hanno chiuso più exit c’è solo un italiano: 360 Capital. Si tratta di una classifica quantitativa, che non valuta la qualità e i peso dell’investimento. Ma tant’è.
L’Italia è fuori dai primi 15 Paesi “compratori”. Significa che non c’è un attore abbastanza forte da aggregare né un movimento di imprese che vogliano unirsi per crescere.
Nella Top 20 Yoox e Inwit (insieme a King di Zacconi)
Rinfranca che, tra le prime 20 exit ci siano due italiane: Yoox/Net-a-Porter (11esima) e Inwit (16esima). E che proprio Yoox sia (con King) una delle due maggiori operazioni di M&A chiuse a beneficio di un venture capital. E da qui si parte.
Cosa ci aspetta nel 2016
E ora che cosa succederà nel 2015? Il report non si ferma a scattare una fotografia ma osserva i dati per tentare di capire i prossimi mesi.
– Un anno di Ipo. I mercati non sono ancora stabili. Ma nel 2016 potrebbero arrivare le quotazioni di alcune tra le più promettenti imprese europee: HelloFresh, Delivery Hero, Westwing e Home24 i principali candidati. Senza dimenticare Spotufy
– Svezia, continua la corsa. Il 2015 non è stata un’eccezione. E se la Svezia si è già avvicinata ai migliori, quest’anno potrebbe anche fare qualche sorpasso. Il Paese ha costruito un ecosistema attrattivo. Ne raccoglierà i frutti.
– Germania e UK dominano. Per raggiungere la testa del gruppo la Svezia dovrà ancora pedalare. Perché il presente è ancora di Germania e Gran Bretagna. Hanno dominato e domineranno, soprattutto se, come pare, le exit che coinvolgono i venture capital dovessero crescere.
– Venture capital, è l’anno della svolta? Le società partecipate da venture capital sono sempre di più. E crescono velocemente. Il prossimo passo è un aumento delle exit. A partire da Londra.
– Investimenti dagli Usa. Sequoia Capital punterà la sua lente sull’Europa. E investirà. Altri venture capital statunitensi seguiranno a ruota. Generando un notevole flusso di capitali.
– Tempo di concentrazione. La tendenza all’aggregazione si confermerà. Il mercato ha bisogno di ricomporre la sua frammentazione. Con i grandi attori di settori specifici a fare da coagulanti.
– Più B2C. Nel 2015 il 60% delle exit ha coinvolto imprese con focus sul B2B. Il 2016 sarà contraddistinto da un maggiore focus sui consumatori, consentendo alle imprese che operano nel B2C di recuperare terreno.
– Quali settori? Adtech, cybersecurity e soprattutto fintech saranno capaci di attrarre sempre più capitali. Merito di ritorni sempre più appetibili.
Paolo Fiore
@paolofiore