L’industria dei videogiochi è in continua espansione ma ancora c’è molta strada. Ecco quattro linee di intervento per migliorare lo sviluppo di un settore molto interessante ai fini delle opportunità lavorative.
L’industria dei videogiochi è in continua espansione ed in evoluzione. Lo dimostra l’ultimo censimento Game Developer 2018 presentato da AESVI, l’associazione editori sviluppatori videogiochi italiani.
Per approfondire le tematiche relative al mondo dei videogames e per comprendere quali sono i punti centrali su cui puntare allo scopo di far crescere ulteriormente il settore, StartupItalia ha intervistato Thalita Malagò, Direttore Generale di AESVI.
L’intervista
Malagò spiega prima di tutto che, rispetto alle precedenti rilevazioni, crescono il numero di studi operanti sul territorio (da 120 a 127), l’età media degli imprenditori (da 33 a 36 anni) e l’età delle imprese (il 54% delle imprese ha meno di tre anni, contro il 62% della rilevazione precedente). Si registra inoltre un aumento degli addetti, che sale a 1.100 persone (+10% rispetto al 2016). E nonostante il 35% delle imprese intervistate conti un massimo di due addetti, il 47% degli studi ha tra i 3 e i 10 addetti e il 17% dà lavoro a oltre 11 professionisti.
Il censimento mostra anche quali sono le difficoltà maggiori degli studi di sviluppo di videogames, che vanno dalle risorse finanziarie insufficienti alle carenze di personale qualificato. Come potrebbero superarsi tali ostacoli?
Per permettere la crescita dell’industria dei videogiochi in Italia abbiamo individuato diverse linee di intervento. La prima riguarda la definizione di programmi strutturali di sostegno alla produzione di videogiochi. L’industria potrebbe, infatti, beneficiare in misura significativa di un piano di incentivi che preveda non soltanto sgravi fiscali, ma anche contributi per le aziende che operano nel campo dell’entertainment digitale e nell’ambito dello sviluppo tecnologico. La seconda linea di intervento riguarda lo sviluppo di programmi e incentivi volti ad attrarre capitali provenienti dai big player del settore e dagli investitori internazionali. La realizzazione di iniziative in grado di attirare gli investimenti internazionali in Italia, nonché la creazione di momenti di incontro e dialogo dedicati a creare una connessione tra gli studi di sviluppo e i possibili partner internazionali potrebbero contribuire in misura significativa all’immissione di capitali dall’estero per lo sviluppo del settore in Italia. Un terzo intervento riguarda la creazione di poli d’eccellenza sul territorio nazionale. La realizzazione di un “ecosistema italiano” all’interno del quale coloro che vi lavorano possano avere l’opportunità di condividere infrastrutture, competenze, conoscenze e know-how rappresenta un’occasione di contaminazione tra gli operatori del settore, favorirebbe l’attrazione di imprese che operano in ambiti limitrofi e potrebbe concorrere allo sviluppo dell’economia di un intero territorio. La quarta linea di sviluppo riguarda, infine, la formazione degli operatori del settore. Per poter continuare il percorso di crescita degli studi di sviluppo, attrarre l’interesse di investitori disposti a immettere nuove risorse nel settore e competere con le principali realtà internazionali appare opportuno progettare e attuare piani di formazione che consentano di diffondere le conoscenze imprenditoriali legate alla gestione d’impresa, al marketing e alla comunicazione.
Il rapporto cita anche, fra le idee per migliorare la crescita del settore, quella dell’ecosistema italiano dei videogiochi. Può spiegarci meglio di cosa si tratta?
Parlare di ecosistema vuol dire parlare di un insieme di soggetti e di attività che interagiscono tra loro per creare un circuito virtuoso di crescita, con una localizzazione in un determinato territorio, ma con una visione globale. Per soggetti intendiamo le imprese, le istituzioni, le scuole e le università. Per attività intendiamo lo sviluppo (tecnologico e creativo), la formazione, il sostegno alle imprese attraverso politiche pubbliche in grado di diminuire il gap competitivo che abbiamo in Italia rispetto ad altri paesi che attualmente compaiono nella lista dei principali produttori di videogiochi a livello internazionale. Per fare degli esempi, Canada, Gran Bretagna, Francia, Polonia, da ultimo Germania.
Non potrebbe essere vantaggioso, secondo lei, spingere verso le start up innovative, che già concettualmente sono propense alla rete ed alla condivisione?
Il concetto di start up innovativa sta un po’ stretto al nostro settore. Forse per quanto ci riguarda dovremmo parlare più in generale di imprese innovative, senza necessariamente limitarci alle start up. È certamente vero che diverse imprese che operano nel settore della produzione di videogiochi (più o meno il 20% sul totale) sono start up innovative. Ma un restante 80% non è più nella fase dello start up e si trova ad affrontare obiettivi altrettanto sfidanti per il loro posizionamento in un mercato globale molto competitivo e con un’evoluzione rapidissima. La propensione alla rete e alla condivisione sono delle caratteristiche comuni anche al settore dei videogiochi, ma dobbiamo senz’altro lavorare per migliorarci da questo punto di vista, magari prendendo ispirazione proprio dal settore delle start up.
Come si immagina l’industria dei videogiochi fra 10 anni?
È difficile immaginare cosa succederà in un periodo così lungo di tempo, soprattutto in un settore che si evolve in continuazione e con una velocità incredibile come quello dei videogiochi. È più ragionevole invece esprimere un desiderio. Ci piacerebbe che fra 10 anni l’Italia fosse riconosciuta come un hub di rilievo per la produzione di videogiochi a livello internazionale. Che le concentrazioni regionali che oggi abbiamo rilevato con il censimento diventino dei veri e propri distretti industriali a livello territoriale. Che un gruppo di nostre imprese locali abbiano dimensioni di fatturato e di occupazione pari a quelle che oggi si registrano per il settore in altri paesi. Che l’Italia sia in grado di attrarre gli investimenti delle multinazionali che operano nel settore e che potrebbero decidere di dislocare nel nostro paese delle sedi di produzioni generando opportunità di lavoro, competenze e nuove imprese. Che le istituzioni pubbliche possano considerare il gaming come uno dei settori su cui puntare dal punto di vista dello sviluppo economico, della cultura, dell’educazione. Che i videogiochi siano utilizzati sempre più come un “linguaggio” a servizio di tanti altri obiettivi al di là dell’intrattenimento.