Dimenticatevi le soft skills: ricordatevi che siamo in Italia. Concentratevi piuttosto sulle hard, anche su una, e lavorate per diventare i migliori. E altre cose (le prime, disordinate) che ho imparato scrivendo di startup
Questo post è scritto volutamente in prima persona e volutamente lo definisco post, perché non è una notizia, non è l’approfondimento di una notizia, non è un commento a una notizia, né, soprattutto, può avere “l’autorevolezza” di un articolo. E’ un post che scrivo perché oggi, alla seconda delle “colazioni” (di networking) con le startup che stiamo organizzando ogni martedì mattina a Milano (a proposito, iscrivetevi qui se volete partecipare alla prossima), mi è stato chiesto un consiglio che forse potrebbe apparire banale, ma non lo è affatto.
“Non ho una startup, ho fatto un’esperienza con l’eCommerce alcuni anni fa… vorrei entrare in questo mondo”, mi ha chiesto Gabriele. Con una faccia che era, credetemi, l’esatto opposto di quelle, tante e paracule, di alcuni saccentelli founders ventenni che “non ti posso dire la mia idea strafica perché sono in contatto con Facebook”. O Google, o Elon Musk, eccetera. L’espressione seria e al tempo stesso “bisognosa” di Gabriele, confesso, era di quelle che ti fanno sentire piccolo piccolo, nonostante probabilmente il tuo interlocutore in quel momento ti veda invece come grande grande.
E confesso anche che è molto difficile per me riuscire a prendermi sul serio, fare quello che sale in cattedra e dispensa consigli, insomma. Ma, come dico spesso, il nostro compito a StartupItalia! non è meramente giornalistico: noi siamo un po’ giornalisti, perché osserviamo e raccontiamo fatti e persone, un po’ divulgatori, perché le cose più difficili le studiamo e le spieghiamo (con le parole più semplici possibili), e un po’ facilitatori, perché immersi come siamo in una grande rete di persone che cresce con noi, può capitare che ci ritroviamo anche a collegare e ricollegare (in maniera assolutamente gratuita e con spirito di servizio) tra loro i tanti nodi, tra startup, investitori, università, grandi aziende, eccetera.
Uscire dalla moda delle startup (e diventare grandi davvero)
Perché lo faccio? Perché lo facciamo? Perché siamo il più piccolo degli ecosistemi europei, e per crescere abbiamo bisogno di fare tutti uno sforzo in più, noi per primi che ogni mese veniamo letti da un milione di persone. Un milione di persone che, ovviamente, non sono tutti founders di startup, altrimenti non ne avremmo 7 mila censite nel registro delle imprese innovative ma almeno dieci volte tanto. Raggiungiamo, insomma, quel milione di italiani che non gioca direttamente in campo questa partita, ma che, come i tifosi, popola ogni domenica le tribune e dà sostegno ai propri beniamini. In un campionato, però, dove le squadre sono ancora troppo poche per poter giocare un campionato importante. O meglio, non troppo poche, ma troppe, e troppo disomogenee (nonché, moltissime, squattrinate).
Ecco, io personalmente sono convinto che tra questi tifosi, e Gabriele è uno di quelli, vi siano moltissime potenziali nuove idee d’impresa, o comunque tanta, potenziale, buona volontà. E questa energia può e deve essere coltivata e aiutata a emergere, soprattutto in una situazione economica e del mercato del lavoro che purtroppo ogni giorno non danno segnali molto incoraggianti.
Dimenticatevi le soft skills, siamo in Italia. Purtroppo
Fatta questa ampia e doverosa premessa, cosa ho “consigliato” a Gabriele. Innanzitutto gli ho chiesto quali fossero le sue hard skills, perché purtroppo in Italia è ancora troppo presto, anche nel mondo dell’innovazione, per fare delle soft un vantaggio competitivo: siamo ancora troppo “anni 80”, ma arriverà anche il momento delle soft skills.
Visto che ha esordito dicendomi dell’eCommerce gli ho chiesto se fosse un programmatore, un tecnico. “No, faccio business” è stata la risposta. E quindi in questo caso il consiglio più ovvio che avrei potuto dare a Gabriele sarebbe stato: “bene, hai già in testa almeno un paio di idee veramente fiche. Buttati!” Ma non l’ho fatto, o meglio, ho sondato il terreno, e infatti mi ha detto “ne ho almeno una dozzina di idee”. Ecco, appunto. E probabilmente, pur non avendone parlato nel dettaglio, qualcuna potrebbe essere un’ottima idea di business, ma a chi vuole entrare in questo mondo e, soprattutto, avere un ruolo consiglio di fare come, nel mio piccolo, ho fatto io.
E’ vero, sono anche uno smanettone, ho iniziato e fare grafica e imparato a programmare in html e css quando avevo 10 anni, e a 14 in php e accenni di javascript, ma questo non fa di me un bravo sviluppatore, o il migliore web designer su piazza. Perché non ho mai scelto di farlo: queste e altre sono sempre state le mie passioni, ci ho anche alzato qualche soldino e da adolescente grazie al passaparola potevo fare il fico con le ragazze più grandi di me perché le aiutavo a fare le tesine “multimediali” per la maturità.
Ma queste, che per altri sono forse hard skills per me fanno parte delle mie soft. Sono un “di più”. Punto. Non mi sono dato l’obiettivo di camparci professionalmente, e non studio per migliorare ed essere competitivo sul mercato: studio, quando posso, oramai sempre meno, per mio accrescimento personale. E molte competenze mi tornano utili ogni giorno, anche in questo lavoro.
Fate una cosa, fatela bene, e diventate i migliori
E cosa, quindi, ho fatto io? Pur venendo da un “imprinting” di quasi nativo digitale, faccio coming out pubblicamente: di startup ne sapevo poco o niente prima di iniziare a lavorare a CheFuturo, prima, e poi qui a StartupItalia!.
Non mi occupavo e non mi occupo di business, non sono un analyst, non sono un investor, non faccio marketing. Oggi ne mastico un po’ di tutto, ma ho scelto di fare una cosa e farla bene. Ho scelto un settore del quale occuparmi, una nicchia nella nicchia: il fintech. E, qui sì, devo saperne sempre di più per spiegarlo sempre meglio e, in subordine, guadagnarmi ogni giorno un pezzettino di credibilità in più, oltre che il mio stipendio.
Saperne di fintech, di p2p lending, di instant payments, di crowdfunding, di bitcoin e blockchain, mi fa avere un posto direi “autorevole” in questo mondo, e poi, se posso, volentieri faccio un salto più “generalista” nell’ecosistema, mi permetto di scrivere di un po’ di tutto, di venture, di digital economy, consapevole che “il cetriolo è dietro l’angolo” (cit. Alessio) e che, soprattutto, in ognuno di questi altri “verticali” è pieno di gente che ne sa più di me. Così come è pieno di gente che ne sa più di me nel fintech, e con molti di questi ho un buon rapporto, vuoi perché ci stiamo simpatici e siamo anche diventati amici vuoi perché, diciamocelo, tra gli altri c’è chi serve a me quanto io a lui: sussiste da sempre tra noi giornalisti e gli startupper, ma nessuno ha il coraggio di ammetterlo, un rapporto diciamo di reciprocità, ma che poggia le proprie basi anche su un pizzico di sano “egoismo”. E di competitività, soprattutto. Altissima.
Ed è questo il “consiglio” che ho dato a Gabriele e che mi sento di dare a chi ancora in questo mondo non c’è: iniziate a frequentarlo, leggete, documentatevi, studiate, e scegliete una cosa, una sola dove pensate di poter diventare il migliore o uno dei migliori. Magari questo si tradurrà in una nuova startup, in attività di advisoring (perché c’è un gran bisogno di gente preparata che aiuti le startup a crescere, anche come consulenti esterni), magari nascerà un nuovo fondo di venture capital. O, chi lo sa, magari tra chi ha letto questo post c’è chi tra un anno mi ruberà il lavoro.