Il manager che affronta quotidianamente la complessità e l’incertezza sa che il commettere errori è la norma. Prendere decisioni, guidare il cambiamento nell’organizzazione e nei suoi processi, promuovere la collaborazione, l’inclusività e la motivazione: tutto questo – e molto altro! – richiede uno stato di allerta diffuso e difficile da mantenere. Pur nella diversità dei contesti socioculturali e degli ambiti di attività che li caratterizzano, i manager sono parificati nella loro fallibilità: tutti, in un qualche momento della carriera, si trovano ad affrontare l’inadeguatezza delle loro azioni e delle reazioni a fatti non pienamente compresi o tempestivamente affrontati. Quando si accorgono che segnali ed eventi importanti sfuggono al radar, spesso è tardi: le conseguenze dell’agire erroneo o del non agire arrivano e travolgono tutto. Nei confronti dell’errore i manager mostrano due atteggiamenti predominanti. Il primo riguarda la percezione degli errori e delle loro conseguenze.
Anche se a volte fanno uso del motto latino errando discitur, raramente riconoscono l’importanza degli errori nel loro processo di apprendimento e in quello dell’organizzazione. Quando riflettono sui momenti chiave delle loro carriere, i manager tendono a privilegiare successi e qualità personali come le abilità, l’impegno e la determinazione che li hanno resi possibili. Gli errori, considerati esclusivamente come portatori di negatività, vengono restituiti al passato, relegati nei recessi della memoria. Se il manager distoglie l’attenzione dagli errori e rinuncia a capirli, ad «andar loro incontro», l’organizzazione e le sue relazioni si trasformano in un campo minato: i concorrenti traggono vantaggio dalle difficoltà altrui; i clienti, sentendo di non ricevere abbastanza attenzione, perdono fiducia e dirigono lo sguardo altrove; i collaboratori, di fronte allo spettro di una fallibilità seriale, iniziano a cercare altrove opportunità di lavoro. Un secondo atteggiamento comune tra i manager riguarda l’idea che gli errori siano affrontabili con il repertorio di competenze e strumenti a loro disposizione. Essi credono di poter riconoscere un errore sin dalle prime avvisaglie in modo da evitare che i suoi effetti si amplifichino. Tuttavia, la realtà rivela spesso una paura latente di commettere errori, rincorse frenetiche e rischiose per cercare di correggere eventi non previsti, e il tentativo – tardivo – di capire perché alcune opportunità o minacce sono sfuggite al loro controllo. La negazione delle proprie debolezze spesso porta a occultare gli errori, minimizzare le loro conseguenze o procrastinare interventi necessari. Quando finalmente l’errore è riconosciuto, spesso viene considerato un risultato inevitabile dell’esplorazione, o la conseguenza di una reazione a qualcosa di inatteso. Alcuni manager iniziano con una parziale assunzione di responsabilità ma finiscono per scaricare la colpa altrove, attribuendo gli errori a colleghi impreparati, procedure antiquate, persino ad avversari determinati a sconfiggerli.
Nel migliore dei casi, optano per il concorso di colpa. Questi due atteggiamenti – minimizzare il valore degli errori e avere un’eccessiva fiducia nell’affrontarli – possono rappresentare un ostacolo significativo per lo sviluppo di carriera dei manager e per il corretto funzionamento dell’organizzazione. Noi suggeriamo un diverso approccio. Prima di tutto sottolineiamo l’importanza strategica degli errori. Spesso considerati «passi falsi», essi sono invece tappe cruciali per il processo di apprendimento, a livello sia individuale che organizzativo. Pertanto, chi guida un’organizzazione dovrebbe promuovere una cultura dell’errore che lo riconosca come opportunità per il cambiamento, il miglioramento continuo e il rafforzamento della visione. Un secondo obiettivo è aiutare i manager a identificare obiettivamente le cause degli errori – o dei potenziali errori – e le loro conseguenze, così da intervenire prontamente con azioni adeguate. Spesso gli «inciampi» sono riconducibili alle tipologie di deficit descritti nei successivi capitoli: quello percettivo, che riguarda il riconoscimento limitato o distorto degli eventi da parte del manager; quello emotivo, che porta a sottovalutare o a negare le emozioni, a richiedere fiducia senza guadagnarla o a cercare di persuadere razionalmente le persone al cambiamento; quello comunicativo, che riguarda la mancanza di chiarezza, di rispetto e di critica costruttiva nelle relazioni interpersonali. Riteniamo che riconoscere queste carenze sia fondamentale per evitare processi involutivi che potrebbero ripercuotersi sulla carriera, portare a stress personale e a tensioni con colleghi.
Un terzo obiettivo è offrire suggerimenti su come migliorare la capacità di percezione dei segnali interni ed esterni, gestire consapevolmente le emozioni, e utilizzare al meglio la comunicazione interpersonale. I manager che sperimentano miglioramenti iniziali, come un maggiore focus e attenzione, una migliore sintonia con i collaboratori e una comunicazione più efficace, spesso iniziano a sviluppare fiducia e superano le iniziali resistenze verso un cambiamento di approccio che potrebbe sembrare inizialmente eccessivamente impegnativo. Un quarto obiettivo è presentare ai manager i benefici dell’approccio mindful descritto nel libro Gli errori del manager Come evitarli e costruire una leadership consapevole (Il Mulino). Combinando consapevolezza e attenzione nelle proprie attività, il manager rileva dettagli ed emozioni che in precedenza sfuggivano. Uno stato mentale intenzionalmente presente è utile non solo per un approccio corretto agli errori: i benefici si estendono all’apprendimento, all’innovazione, alla motivazione e gestione delle risorse umane, allo sviluppo di competenze «soft». In pratica, a quanto ci si aspetta da uno stile di leadership consapevole. L’auspicio è che i manager si impegnino nel voler comprendere i propri limiti, poiché soltanto in questo modo gli errori si convertono in reali opportunità di crescita. In questo saggio forniamo evidenze e spunti di riflessione per aiutare il manager a inquadrare correttamente gli errori e il suo modo di rapportarsi a essi. Nella nostra cultura l’errore è spesso stigmatizzato. Considerato apportatore di conseguenze negative, esso viene spesso negato, attribuito ad altri. I manager tendono a schivare gli errori in quanto nemici che minano la reputazione, fanno perdere denaro, rallentano i processi e abbattono il morale. La paura che gli errori possano compromettere la carriera porta ad allontanarsi da essi, negandosi la possibilità di capirli, metterli a valore e non commetterne altri. Il problema principale, nel tentativo di cambiare l’atteggiamento di molti manager nei confronti degli errori, è convincerli che questi ultimi possono essere utili per la carriera e la crescita personale. Solo in presenza di una forte motivazione essi agiranno per cambiare il modo di rapportarsi agli sbagli. Per stimolare l’affermazione di una nuova prospettiva occorre partire dalla cosiddetta «ristrutturazione» (reframing) del tema dell’errore, dando a questo un nuovo significato [Watzlawick, Weakland e Fisch 1974] che può mutarne il senso. In questo modo, il manager sarà maggiormente propenso ad affrontare la situazione, anziché eluderla. Per cambiare la cornice che inquadra l’errore e le emozioni a esso associate è utile proporre punti di vista alternativi. L’obiettivo di questo capitolo è il seguente: sensibilizzare sul fatto che gli errori, se adeguatamente affrontati, capiti e messi a valore, hanno un impatto positivo su alcuni processi chiave per il successo di individui e organizzazioni: l’apprendimento, il cambiamento, la sicurezza psicologica tipica dell’età adulta, lo sviluppo della leadership. Dopo aver inquadrato l’errore nel suo nuovo significato, occorre far leva sul comprensibile desiderio del manager di ridurre la sensazione di disagio che l’errore e tutto ciò che lo ricorda provocano. Se non si interviene, è probabile che egli adotti la strategia comportamentale tipica di chi teme qualcosa: l’evitamento, ovvero la tendenza a sfuggire a tutte le situazioni o condizioni che possono essere associate all’insorgere di quella paura [Nardone 2021]. È una strategia pericolosa: le resistenze che il manager dimostra nei confronti degli errori possono estendersi gradatamente ad altri ambiti, fino a portarlo a sottrarsi a qualsiasi giudizio che riguardi il suo operato. Per bloccare l’evitamento del manager occorre aiutarlo a riesporsi alle situazioni eluse e a recuperare fiducia nelle proprie capacità. Fornirgli alcune prescrizioni di comportamento, ad esempio quelle basate sugli strumenti e le pratiche che tratteremo nei successivi capitoli, aumenta la sua sicurezza psicologica e completa la ristrutturazione cognitiva sul tema degli errori [Watzlawick, Weakland e Fisch 1974].
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Quali sfide attendono la società di domani? Quali sono i rischi e quali le possibilità offerte dallo sviluppo tecnologico? Per la rubrica “Futuro da sfogliare” un estratto del libro Gli errori del manager Come evitarli e costruire una leadership consapevole (Il Mulino) di Andrea Lipparini, ordinario di Gestione dell’innovazione nell’Università di Bologna, Massimo Franceschetti, docente alla Bologna Business School presso la quale è Direttore scientifico dell’Open Program Communication Skills e Massimiliano Ghini, docente incaricato di Gestione delle risorse umane nel corso di Ingegneria gestionale (Università di Bologna) e docente di Comportamento organizzativo presso la Bologna Business School.