A scriverne per primi sono stati il Wall Street Journal e The Information. Stripe, una delle fintech più importanti al mondo, sarebbe di fronte a un bivio: quotarsi in Borsa direttamente, oppure farlo permettendo però ai propri dipendenti di vendere le proprie azioni sul mercato secondario attraverso una OPA (Offerta Pubblica di Acquisto). La decisione sul da farsi, ha comunicato la società, verrà presa nel giro di un anno ed è destinata ad avere un impatto sull’ecosistema, qualunque strada deciderà di intraprendere. Secondo il Wall Street Journal la quotazione di Stripe potrebbe segnare una delle IPO più alte di sempre; The Information ha d’altra parte sottolineato che c’è un problema da risolvere: le azioni di dipendenti storici sono in scadenza a breve e se non si farà nulla rischiano di diventare carta straccia.
Dopo l’euforia degli scorsi anni, con diverse IPO del mondo tecnologico, da Rivian a Coinbase, la situazione si è temporaneamente frizzata. Le ragioni sono molteplici, una su tutte la crisi che coinvolge le Big Tech e i venti di recessione sull’economia globale hanno spaventato gli imprenditori. Nel 2021 Stripe era stata valutata 95 miliardi di dollari, ma il 2022 ha colpito anche la fintech: quella cifra si è abbassata del 28% (a 74 miliardi) e l’azienda si è aggiunta alla lista di società (in continuo aggiornamento) che mettono in atto licenziamenti e ristrutturazioni interne per fare fronte alla crisi. Nel suo caso ha mandato a casa oltre mille persone.
Fondata nel 2010 da John e Patrick Collison, Stripe ha raccolto finora oltre 2 miliardi di dollari da soggetti come Sequoia Capital e Andreessen Horowitz. Il suo servizio software si occupa della elaborazione dei pagamenti di aziende come Amazon. La possibile quotazione di Stripe è attesa dagli investitori che puntano a un ritorno importante dei propri finanziamenti. Secondo il New York Times, l’IPO della società potrebbe riattivare il meccanismo delle quotazioni, ridando fiducia ai mercati. La crescita di Stripe del decennio scorso si era inserita a pieno nella ripresa dell’economia americana dopo la crisi dei mutui sub-prime del 2008. La pandemia aveva segnato una nuova impennata per le entrate dell’unicorno, fino alla brusca frenata. «Siamo stati troppo ottimisti sulla crescita a breve termine dell’economia di internet», è stato il commento dei cofounder.