Dalle api alle farfalle, passando per i pipistrelli: gli impollinatori sono essenziali per il mantenimento della biodiversità vegetale e per la produzione di cibo. Senza il loro servizio diverse piante non darebbero frutti. La crisi climatica in corso però porta conseguenze importanti sulle popolazioni di impollinatori. In Europa, ad esempio, le farfalle sono diminuite dal 1990 del 25%.
Pipistrelli, uccelli, coleotteri e farfalle, non si pensa a loro quando ci si riferisce agli impollinatori, ma oltre alle api, anche questi animali contribuiscono all’impollinazione di piante selvatiche e agricole. La crisi climatica è fra le cause del declino degli impollinatori. Con il loro servizio, gli impollinatori garantiscono da un lato la tutela della biodiversità degli ecosistemi e dall’altro la stessa sopravvivenza dell’uomo.
Basti dire che sono essenziali per poter avere sulle tavole kiwi, meloni o cocomeri e importantissimi anche per mele, albicocche, pere, ciliegie. Secondo diversi studi, i raccolti di questi frutti diminuirebbero drasticamente senza gli impollinatori. Altri invece ne risentirebbero molto meno o non ne risentirebbero affatto. È il caso ad esempio di cereali come grano e riso o di patate, carote, cipolle. Al di là dell’importanza che rivestono per la fornitura di cibo, gli impollinatori sono essenziali per il mantenimento della biodiversità vegetale.
Farfalle in drastico calo in Europa
Fra gli impollinatori la parte del leone la fanno gli Apoidei. Comunemente si conosce l’ape domestica, Apis mellifera, ma ci sono anche moltissime api selvatiche e fanno parte degli apoidei anche i bombi, per esempio. L’aumento delle temperature dovuto al cambiamento climatico e gli eventi estremi costringono gli impollinatori a migrare.
In alcuni casi ne mettono a rischio addirittura la sopravvivenza stessa. Secondo l’ultimo rapporto di Butterfly Conservation Europe, sotto l’egida della Direzione Generale Ambiente della Commissione Europea, la popolazione delle farfalle europee si è ridotta del 25% fra il 1990 e il 2018. Con il progetto ABLE sono infatti stati raccolti dati sulle farfalle più comuni in 22 Paesi, compresa l’Italia. Fra le cause della diminuzione della loro presenza, oltre alla perdita di habitat semi naturali, all’agricoltura intensiva, all’inquinamento chimico, c’è anche il cambiamento climatico.
Disaccoppiamento, uno degli effetti sugli impollinatori
“Non sono le singole estati o i singoli inverni a influenzare le popolazioni quanto piuttosto il trend di aumento della temperatura che si registra su una base di più decadi. Ciò ha una vera influenza sulle popolazioni di impollinatori, così come di altri organismi”, ha spiegato a StartupItalia Marino Quaranta, entomologo e ricercatore CREA.
“Si può spostare l’area di distribuzione in cui vive una determinata specie – ha continuato – e ciò può determinare un disaccoppiamento rispetto alle piante che vengono impollinate. Da un lato gli impollinatori sono legati a determinate specie botaniche e dall’altro anche le piante spontanee, dati i cambiamenti climatici, possono spostare il loro areale. Ricerche basate su diversi modelli dimostrano che, nel lungo periodo, questo potrebbe fare sì che l’impollinatore e le specie botaniche di riferimento non si incontrino più”.
A causa dei cambiamenti climatici stiamo assistendo ad una migrazione di impollinatori e piante. Questo può far sì che in futuro l’impollinatore e le specie botaniche di riferimento non si incontrino più
Il disaccoppiamento potrebbe avvenire però anche rispetto alle fasi fenologiche, per esempio, delle piante agricole. Con l’aumento delle temperature infatti le piante fioriscono in anticipo. Un fenomeno già osservato non solo nell’annata 2022, estremamente calda: “In effetti abbiamo dati che ci parlano di anticipo delle fasi fenologiche delle piante in Italia ma, al momento, anche l’emergenza degli impollinatori, dopo il riposo invernale è stata anticipata. Quello che però potrebbe succedere – ha spiegato ancora Marino Quaranta – è che le piante fioriscano in anticipo ma i gli impollinatori mantengano invariata l’uscita dal riposo. Questo determinerebbe un altro disaccoppiamento. Guardando all’agricoltura significherebbe inevitabilmente a un calo della produzione”.
Il rischio di estinzione locale degli impollinatori
Un altro rischio, conseguenza della crisi climatica, che è fatta anche di eventi puntuali molto pronunciati come ondate di calore, bombe d’acqua, siccità estrema, è quello dell’estinzione locale di determinati impollinatori. Ciò può avvenire da un lato perché il fenomeno del disaccoppiamento potrebbe portare a far sì che non riescano più a trovare la specie botanica di loro interesse e dall’altro come conseguenza, appunto, di eventi estremi: “Ci sono dati molto esatti e pubblicazioni – ha detto ancora Quaranta – che dimostrano come questo tipo di fenomeni siano letali per diverse specie. È stato ad esempio rilevato sui bombi per quanto riguarda le ondate di calore ma è logico pensare che possa succedere anche per altri impollinatori”.
Non sono le singole estati o i singoli inverni a influenzare le popolazioni di impollinatori quanto piuttosto il trend di aumento della temperatura che si registra su una base di più decadi
E i bombi sono fra gli insetti particolarmente monitorati. In particolare quelli che vivono al di sopra di determinate altitudini per via delle loro necessità di basse temperature durante l’inverno: “In Italia vivono oltre 40 specie di bombi, alcune possono vivere solo al di sopra dei 1800 metri d’altezza. Sono queste le specie a rischio. L’innalzamento delle temperature sta infatti facendo salire la quota sopra la quale possono vivere anche perché i cambiamenti climatici si fanno sentire di più in montagna. C’è in effetti il rischio – ha sottolineato ancora Marino Quaranta – di un’estinzione locale. Se vogliamo utilizzare una metafora, dobbiamo immaginare un’isola in cui il livello del mare sta salendo e pian piano sommerge completamente l’isola”.
Gli areali si allargano
Fra le conseguenze già evidenti della crisi climatica e dell’aumento delle temperature c’è l’allargamento degli areali di alcuni insetti. Un determinato insetto quindi non migra ma allarga il suo territorio. “Possono guadagnare diverse decine di chilometri ogni 5 anni e in vent’anni possono allargare il loro areale anche di 1000 chilometri. Per esempio, il Bombus haematurus viveva solo nei Balcani e ora ha raggiunto l’Italia settentrionale”, ha raccontato ancora il dott. Quaranta. “Abbiamo poi il caso della Vespa orientalis, era tipica del Nord Africa e in Italia era presente solo nella regioni del Sud ma ora è arrivata anche al Nord”, per gli apicoltori ciò può rappresentare un problema dal momento che è un predatore dell’ape domestica.
“Un altro caso di allargamento dell’areale, ma qui ha giocato un ruolo fondamentale lo spostamento passivo dovuto ai commerci, è quello della Vespa velutina. È una specie di calabrone sbarcato in Francia da ormai 15 anni. Ora è arrivato in Italia e si sta espandendo, così come si è espanso in Francia. I calabroni sono predatori e quindi il loro spostamento minaccia specie locali, fra queste c’è anche l’ape mellifera, l’ape comune allevata per il miele”.
Quanto valgono gli impollinatori per l’agricoltura
Per la produzione agricola l’abbassamento delle popolazioni degli impollinatori potrebbe avere un impatto importante. Secondo dati ufficiali dell’Unione Europea, solo nel territorio europeo il valore annuale del contributo degli impollinatori è di 15 miliardi. Secondo il Dipartimento per l’Agricoltura degli Stati Uniti, più di 150 specie agricole americane dipendono dai servizi di impollinazione. La FAO poi stima, a livello mondiale, che il contributo degli impollinatori per la produzione di cibo valga fra i 222 miliardi di euro all’anno e i 547 miliardi.
Nel territorio europeo il valore annuale del contributo degli impollinatori è di 15 miliardi
Proprio il mondo agricolo però può fare molto per aiutare gli impollinatori attraverso pratiche agricole più sostenibili. Fra le cause del loro declino infatti non c’è solo la crisi climatica: “Gli agricoltori sono investiti, in effetti, da una grande responsabilità. Con i finanziamenti della Politica Agricola Comune (PAC) si punta a migliorare gli habitat per gli impollinatori nelle nostre campagne. Lo si fa tramite le misure agro-ambientali e tramite i nuovi Eco-Schemi”.
Il finanziamento da parte dell’Unione Europea agli agricoltori che aderiscono all’Eco-Schema specifico per gli impollinatori della PAC ammonta complessivamente, per l’Italia, a 43,4 milioni di euro annui. “Fra le pratiche che sarebbero importanti c’è l’aumento della connettività ambientale. Vanno quindi aumentate le congiunzioni fra aree verdi, naturali e semi naturalizzate ed aziende agricole. È poi importante migliorare l’uso degli agrofarmaci”, ha detto ancora Marino Quaranta.
Anche la ricerca sta facendo la sua parte: “In questo momento – ha concluso Quaranta – ci sono molti progetti di monitoraggio in corso. La comunicazione, in tutti i Paesi europei, è importante per aumentare le conoscenze e anche la consapevolezza dell’opinione pubblica. Anche le persone comuni possono aiutare nei monitoraggi, abbiamo bisogno del contributo di tutti. In particolare ci sono due progetti: Spring, ‘Strengthening Pollinator Recovery throught INdicators and MonitorinG’ e un progetto Life dal titolo Life4Pollinators, che vuole aumentare la consapevolezza delle persone soprattutto nei Paesi del Mediterraneo, dove è più necessario. BeeNet è invece lo schema di monitoraggio nazionale che prende in considerazione sia le api mellifere sia quelle selvatiche”.
Fonte delle immagini: Pixabay