17 anni, prima firma di una ricerca scientifica sui buchi neri che ha vinto un premio da 250mila dollari. Come ci è riuscita?
Difficile non simpatizzare con Christine Ye, una brillante studentessa diciassettenne che ha contribuito a sviluppare un nuovo metodo per interpretare il segnale gravitazionale prodotto da due oggetti che stanno fondendosi in un fenomeno chiamato coalescenza. Al settimo cielo per la vincita del primo premio da 250.000 dollari messo in palio dalla Regeneron Science Talent Search.
Christine ha dichiarato:
It doesn’t take years and years and years of training or a doctorate to have important thoughts
Che si può tradurre in: non sono necessari anni ed anni di preparazione o un dottorato per avere delle buone idee.
Parole che farebbe pensare che Christine abbia sviluppato un metodo semplice, derivato da una brillante intuizione, piuttosto che la complessa trattazione matematica che viene generalmente utilizzata per interpretare il segnale gravitazionale. Incuriosita, ho scaricato l’articolo scritto insieme ad una giovane ricercatrice della Northwestern University.
Dico subito che non è affatto usuale che una studentessa di High School (l’equivalente del nostro Liceo) compaia tra gli autori di un lavoro scientifico e questo depone bene per la giovane Christine, che è la prima del duo, chiaramente non perché sia stato seguito l’ordine alfabetico. Il lavoro non è affatto privo di matematica, ma la parte innovativa è stata la capacità di Christine di pensare fuori dalla scatola andando ad investigare delle condizioni un po’ diverse dal solito.
Ciò che resta delle stelle
Dal momento che l’analisi di un segnale gravitazionale non è un argomento familiare, occorre fare una premessa per introdurre gli oggetti celesti protagonisti degli eventi gravitazionali. Parliamo di stelle di neutroni e buchi neri che sono ciò che rimane di antiche stelle, molto più grandi del nostro Sole, che hanno esaurito il loro combustibile nucleare e sono esplose. Le stelle di neutroni impacchettano una massa uguale, o superiore, a quella del Sole all’interno di un raggio di meno di 20 km e rappresentano l’ultima fermata della materia prima del buco nero. Una stella di neutroni è un corpo celeste estremo ma ancora “normale” che noi possiamo studiare attraverso la radiazione che emette: un buco nero, invece, è chiuso in sé stesso, prigioniero della sua immensa gravità.
Il parametro che differenzia le stelle di neutroni dai buchi neri è la massa. La fisica dice che una stella di neutroni non può autosostenersi se ha massa maggiore di 2,2 masse solari, mentre un buco nero da manuale dovrebbe avere massa superiore a 5 masse solari. Tra 2,2 e 5 masse solari siamo in una specie di terra di nessuno, dove non è chiaro cosa possa succedere.
Quando due oggetti massivi e compatti, dopo avere danzato a lungo in un sistema binario si avvicinano fino al punto di fondersi per formare un unico corpo celeste, la struttura dello spazio viene scossa dall’evento di fusione e inizia a propagarsi un’onda gravitazionale. È un fenomeno previsto dalla relatività generale ma il buon Einstein era convinto che non sarebbe mai stato possibile rivelarlo, perché la deformazione causata è piccolissima (inferiore alle dimensioni di un protone).
Oltre quanto previsto da Einstein
Ci sono voluti 50 anni di sviluppi tecnologici per sviluppare un metodo capace di rivelarla. Chi fosse interessato all’argomento, può consultare qualcuno degli ottimi libri che sono stati pubblicati sull’argomento. Io sono di parte perché ne ho scritto uno che si intitola Sidereus Nuncius 2.0, pubblicato da Mondadori Università.
Le minuscole oscillazioni prodotte da un’onda gravitazione si esauriscono in una frazione di secondo ma la forma dell’onda registrata permette di stimare la massa dei due oggetti che si sono fusi. Al momento, il catalogo delle onde gravitazionali comprende una novantina di eventi la maggior parte dei quali sono il risultato delle fusione di due buchi neri con massa pari e qualche decina di volte quella del nostro Sole. In un caso, registrato il 17 agosto del 2017, abbiamo assistito alla fusione di due stelle di neutroni con massa di circa una volta e mezza quella del Sole. È stato visto anche un altro evento generato da due stelle di neutroni, ma ha avuto meno risonanza del primo: non è stato possibile rivelare emissione ottica, X o gamma, e questo ha impoverito l’informazione disponibile.
Poi ci sono una manciata di casi enigmatici che si pensano originati da sistemi binari formati da una stella di neutroni e da un buco nero. Uno di questi, registrato il 14 agosto 2019, ha dato non poco filo da torcere agli astrofisici perché i protagonisti sono un buco nero di 23 masse solari ed un oggetto misterioso di 2,6 masse solari. Si tratta di una stella di neutroni XXL oppure di un buco nero XXS?
Questo grafico riassume le misurazioni di massa disponibili ad oggi per stelle di neutroni (in giallo e arancione nella parte bassa) e buchi neri (in blu e violetto in alto). I diversi colori si riferiscono a diversi metodi di rivelazione giallo e violetto sono oggetti studiati attraverso la lor emissione X o radio mentre arancio e viola sono quelli rivelati grazie alle onde gravitazionali. Il caso enigmatico del 14 agosto 2019 è evidenziato al centro della figura.
È su questa domanda che si è concentrata la giovane Christine, andando a vedere cosa succederebbe se la stella di neutroni ruotasse rapidissimamente, vicino al limite di rottura, diciamo mille volte al secondo. Stelle di neutroni in rotazione rapidissima esistono, ma sappiamo che acquisiscono la loro straordinaria velocità angolare sottraendo materia ad una stella compagna, un procedimento che non si può certo ipotizzare nel caso di un buco nero dal quale, ricordiamolo, non esce assolutamente nulla, né materia né luce. Tuttavia, ipotizzando che la rapidità di rotazione sia innata, questo permetterebbe di alzare il limite di massa andando a lambire la linea di 2,6 masse solari richiesta dall’oggetto in questione.
Un risultato interessante, che è stato giustamente scelto per il primo premio del concorso. Vista la giovane età, Christine non ha potuto investire anni ed anni nella preparazione: ma certamente il risultato descritto nell’articolo le ha richiesto un bel po’ di lavoro e di studio. Se è così veloce ad assorbire delle problematiche così complesse, nei prossimi anni farà faville. Sono sicura che il premio (oltre a darle un consistente aiuto economico, molto importante per coprire le spese del costoso sistema universitario americano) l’avrà fatta notare dalle migliori università americane, che considereranno con interesse la sua domanda di ammissione.