Un viaggio alla scoperta di vocazioni, passioni, talenti. Una formula contro il disfattismo del “niente si può cambiare”. Giulio Xhaët ci spiega cosa significa diventare davvero grandi nel suo nuovo libro “Da Grande”, edito da Sonzogno
Vi ricordate quel film meraviglioso del 1989 che è L’attimo fuggente? Lo sceneggiatore Tom Schulman, per trovare le parole con cui il professor Keating avrebbe potuto ispirare i suoi allievi, saccheggiò a piene mani il lavoro del poeta Walt Whitman. In particolare, la raccolta di poesie Foglie d’erba. Lì dentro troviamo una frase estratta dal Canto di me stesso: «Mi contraddico? Ebbene sì, mi contraddico. Sono grande, sono un essere umano, contengo moltitudini.»
È bello pensare che “da grande” non significhi solo “quando sarò adulto”, ma soprattutto quando diventerò le mie vaste moltitudini. Non vuol dire tanto quando entrerò negli ‘enta o negli ‘anta, piuttosto, quando continuerò a domandarmi: quante persone potrò essere stata/o tra 10 anni?
Qualche esempio? Da Grande, Chiara vuole trasferirsi in Portogallo e da lì lanciare la sua agenzia di social media management. In realtà l’ha già fatto, ed è diventata grande a 21 anni, dopo aver fatto venire un colpo ai genitori, che già la vedevano laureata e dottoranda in economia e commercio.
Da Grande, Sara vorrebbe lasciare il suo lavoro di responsabile ufficio stampa per una delle più importanti banche italiane e dedicarsi a una sua vecchia passione: prendere in mano l’attività dei genitori a Cornate D’Adda e diventare fioraia. In fondo, dentro a quel negozio aveva fatto uno “stage” di 33 anni: tutti i pomeriggi aiutava sua mamma dopo la scuola. E ha sempre amato la natura. Così, l’ha fatto.
Da Grande, Nicolò vorrebbe aprire una agenzia di marketing strategico nella sua città natìa, Bari, e dedicarsi alla valorizzazione del territorio. Solo che per farlo dovrebbe abbandonare le grandi società di consulenza internazionali. Un giorno decide che sì, è venuto il momento di lavorare (d)a Bari, verso tutto il mondo.
Da Grande, Jaqueline vuole andare a insegnare cinema francese all’università popolare “come si deve”. per questo si è da poco iscritta a un corso di cinema, a 92 anni. Chi scrive lo sa bene: Jaqueline è mia nonna.
Da grande è il frutto di un lavoro di ricerca durato anni. Un percorso a “domande generative” per indagare le nostre vocazioni, passioni e talenti. È un antidoto a chi afferma perentorio “volere è potere”, che abbiamo capito essere un’affermazione becera e arrogante, ma anche al “niente si può cambiare”, che forse è anche peggio. È una ricerca interdisciplinare sul nuovo mondo del lavoro, e prova a essere un simposio di storie da cui lasciarsi ispirare e un po’ commuovere.
L’aspetto pragmatico del saggio è racchiuso nel Personal Purpose Canva, l’esercizio che riassume le domande sparse in tutto il libro, e proposto nelle ultime come strumento di design thinking per elaborare il proprio purpose personale. Da numerose ricerche emerge come le migliori “risposte alla vita” siano sospinte da buone motivazioni. E a loro volta, come le buone motivazioni vengano sospinte da buone domande. Sotto questo punto di vista, esistono due tipi di domande: quelle generative, appunto, e quelle sterili. Le domande generative indicano una strada da seguire, dissipano la nebbia. Le domande sterili sono fini a sé stesse.
“Startuppo o non startuppo?”
Ci accorgiamo della qualità di una domanda quando proviamo a rispondere con la massima sincerità e ci rendiamo conto di quanto sia inutile. Tuttavia, a volte cadiamo lo stesso nel tranello, perché le domande sterili sono subdole e invitanti. Un classico esempio: dovete decidere se lanciare una startup o continuare a lavorare in azienda. Startuppo o non startuppo? Molti vengono sedotti da domande come: sono capace di lanciare una società? Oppure: i miei amici cosa stanno facendo? O ancora: sono troppo giovane? Sono troppo vecchio? Proviamo a rispondere alla prima: ne sarò davvero capace? Se non l’avete mai fatto, è una domanda inutile. Lo capirete solo provandoci. Numero due: i vostri amici potrebbero essere tutti felici in azienda o avere fallito miseramente come imprenditori, oppure il contrario. Ma voi non siete loro. Infine: potreste avere diciotto anni e le capacità giuste al momento giusto, e lo stesso vale se ne aveste sessanta.
“Molti vengono sedotti da domande come: sono capace di lanciare una società? Oppure: i miei amici cosa stanno facendo? O ancora: sono troppo giovane? Sono troppo vecchio?”
Le domande sterili sono un ottimo alleato per chi ha paura di affrontarsi e dirsi la verità. Sono anche un ingrediente pericoloso se mescolate con le informazioni razionali che trovate in ogni dove: se vogliamo supportare un nostro pregiudizio, infatti, diventiamo abilissimi nel cercare dati che lo confermino, preda dell’ormai celebre bias di conferma. Avete paura di startuppare? Vi domandate se siete troppo giovani o troppo vecchi? A quel punto trovate dati che, ebbene sì, confermano come in media gli startupper di successo hanno fondato la loro società dopo i venticinque anni. Oppure prima dei quaranta. Visto che è una follia? Lo dicevo io!
All’opposto, non vi interessa davvero la startup ma lanciarla è molto in voga? Allora iniziate a domandarvi cosa stiano facendo i vostri amici e conoscenti. Molti stanno effettivamente avviando una società, e diversi dati confermano che proprio adesso, guarda caso, è il momento propizio. Frullate il tutto, e la ricetta è pronta: avrete sul piatto una non-decisione. Fare ciò che ci si aspetta da voi. O che vi fa mette meno paura. Le domande sterili non ci indicano una vera strada, anzi, non fanno che pompare altra nebbia. Tendono a bloccarci, a limitare i nostri movimenti, a farci girare su noi stessi. Ci inducono a rimuginare, a rinviare il momento di prendere una decisione netta, in attesa di maggiori informazioni, del momento perfetto.
“Le domande sterili non ci indicano una vera strada, anzi, non fanno che pompare altra nebbia”
Chiedetevi invece: quando mi alzo la mattina e sto per mettermi a lavorare, mi sento soddisfatto? Quali capacità mi sta permettendo di sviluppare il lavoro attuale? Ho prospettive di crescita? Se mi mettessi a startuppare come sopravvivrei economicamente nei primi mesi e nei primi anni?
Le domande generative si chiamano così perché indicano una direzione chiara, permettendoci di generare un’azione. Non una qualsiasi: quella più coerente con il vostro scopo allo stato attuale. Ecco, Da grande e il Personal Purpose Canva al suo interno sono questo: un metodo per allenarsi sulle domande generative connesse al nostro scopo, nel lavoro e nella vita.
Nel caso… buona lettura!