In collaborazione con |
Ha 16 anni ed è da tempo appassionata di competizioni basate sulla velocità. Le sue disabilità muscolari non le hanno impedito di diventare uno dei più grandi talenti di Drone Racing a livello internazionale. Luisa parteciperà a settembre al World Drone Cup ad Istanbul, il campionato mondiale per piloti di droni da corsa
Il 9 agosto ha compiuto 16 anni e a settembre frequenterà il terzo anno del liceo classico-linguistico “Virgilio-Redi” di Lecce. Luisa Rizzo vive a San Pietro in Lama (provincia di Lecce), è una fan sfegatata di MotoGP e ha sempre avuto un sogno: praticare uno sport a livello agonistico che avesse a che fare con la velocità. Sapeva che non sarebbe stato semplice realizzarlo, perché convive con una forma di atrofia muscolare spinale (SMA di tipo 2) che l’ha portata a perdere la mobilità e ad essere su una sedie a rotelle.
Nel 2015 il papà le regala un drone giocattolo, per aiutarla a muovere meglio le dita e Luisa, dopo aver scoperto che esistono anche modelli da corsa, capisce che sta per realizzarsi il suo sogno. Da un anno partecipa a gare a livello agonistico di Drone Racing (SwellPro è stato uno dei suoi primi sponsor) ed è entrata a far parte di team internazionali come NexxBlades (Inghilterra) e Redbee Action Pilots (Germania). La prossima competizione mondiale a cui parteciperà Luisa sarà a Instanbul, dal 20 al 23 settembre, in occasione dell’inaugurazione del nuovo aeroporto, all’interno del quale si svolgerà il World Drone Cup.
Per conoscere meglio il Drone Racing e capire come si diventa piloti di droni da corsa, abbiamo intervistato Luisa, mentre era alle prese con uno dei suoi allenamenti.
L’intervista
Puoi spiegarci cos’è esattamente il Drone Racing?
É, a tutti gli effetti, uno sport, nato un paio di anni fa ma che si sta diffondendo negli ultimi tempi, da quando ci sono piloti che hanno deciso di dedicarsi a queste competizioni. É una specie di Formula1, in cui ci sono circuiti con delle piste che sono dei veri e propri percorsi a ostacoli. I droni devono attraversare “gate”, cioè delle porte ad arco o quadrate, non oltrepassare le bandierine che delimitano le curve, entrare nel “dive”, cioè un pozzo in cui buttarsi in picchiata e molto altro. A differenza dei droni tradizionali, quelli da corsa sono privi di Gps e stabilizzatore. É tutto nelle mani (e nei pollici) del pilota che li fa muovere con un radiocomando e che indossa degli occhiali Fpv (First Person View) in grado di restituire la stessa visuale del drone. La vera difficoltà sta nella messa a punto del mezzo, come succede per le auto da corsa, nel saper gestire la velocità (possono arrivare fino a 200 km/h rispetto ai 60 dei droni normali) e la durata delle batterie rispetto al tempo necessario per percorrere il circuito.
Cosa serve per diventare un pilota di droni da corsa?
Tanto allenamento. Io ho iniziato nel 2015, con un drone giocattolo, facendolo volare nella piazzetta vicino casa ed è passato un anno e mezzo prima di sviluppare una certa familiarità con i modelli da corsa. Bisogna imparare a conoscerli, capire qual è il motore giusto, le eliche giuste, la telecamera da montare a bordo e come assemblare al meglio tutte le componenti, per poi spiccare il volo. Gli allenamenti sono vere e proprie simulazioni di gara. Possono essere fatti al chiuso, in capannoni, o all’aperto, in aree delimitate con delle reti, anche se in Italia, in cui c’è una normativa ancora molto rigida, non è molto semplice.
Il nickname che usi durante le gare è LeoOnFire. Cosa significa?
In realtà, non fa altro che riprendere alcune mie caratteristiche. Sono del segno del Leone, da cui “Leo”, che è un segno di fuoco. Quando gareggio mi sento letteralmente “on fire”, cioè infuocata e piena di adrenalina.