La filosofia del Reggio Emilia Approach è un metodo educativo nato negli anni ’90 che si incentra sul bambino e si basa sulla partecipazione, sull’importanza dell’ambiente educativo e sulla presenza dell’atelier
Il Reggio Emilia Approach è una filosofia educativa che si fonda sull’immagine di un bambino, portatore di forti potenzialità di sviluppo e soggetto di diritti, che apprende e cresce nella relazione con gli altri. Si propone come un approccio globale, che ha ispirato scuole di tutto il mondo e trae la sua forza da alcune colonne portanti: la partecipazione delle famiglie, il lavoro collegiale di tutto il personale, l’importanza dell’ambiente educativo, la presenza dell’atelier e della figura dell’atelierista, della cucina interna, il coordinamento pedagogico e didattico. Il cuore della filosofia educativa risiede nei “cento linguaggi” di cui l’essere umano è dotato, che il bambino ha occasione di sviluppare grazie all’azione quotidiana con diversi materiali, più linguaggi, più punti di vista, tenendo contemporaneamente attive le mani, il pensiero e le emozioni, valorizzando l’espressività e la creatività dell’individuo in quanto tale e come membro della società.
Le origini del Reggio Approach
Nel 1994, per rispondere alle innumerevoli richieste internazionali, il Comune di Reggio Emilia, nell’impossibilità strutturale di farvi fronte direttamente, promuove la costituzione di una società che ne possa supportare l’azione. Nasce così Reggio Children – Centro Internazionale per la difesa e la promozione dei diritti e delle potenzialità delle bambine e dei bambini, da un’idea di Loris Malaguzzi, che non ha modo e tempo di vederla realizzata, e dal sostegno di un gruppo di cittadini e amministratori. Il Reggio Approach ha incontrato il successo prima all’estero che in Italia perché, probabilmente, negli anni Settanta e Ottanta – quando il Reggio Emilia Approach ha iniziato a farsi conoscere – nei paesi del Nord Europa e negli Stati Uniti vi era una maggiore sensibilità e attenzione verso un’educazione innovativa per la fascia 0-6 anni, rispetto a quanta, all’epoca, ve ne fosse in Italia. Negli anni, però, il Reggio Emilia Approach si è fatto conoscere anche in Italia, anche grazie alla convenzione con il Miur del 1997 e a progetti di formazione con diverse realtà nazionali, come il nido scuola Eni a San Donato Milanese e il Centro per l’infanzia Ponzano Children, realizzato dal gruppo Benetton.
Un’esperienza internazionale
L’esperienza dei nidi e delle scuole dell’infanzia di Reggio Emilia manifesta, fin dal suo nascere, un forte carattere di internazionalità, anche riguardo ad alcune delle teorie pedagogiche di riferimento e ai rapporti con altre realtà in tutto il mondo. Nella prima metà degli anni Settanta si hanno le prime visite di delegazioni da Svizzera, Francia, Spagna, Bulgaria, Giappone, Cuba. Nel 1979 si avvia un intenso scambio con rappresentanze svedesi che culmina nel 1981 con l’esposizione al Moderna Museet di Stoccolma della mostra “L’occhio se salta il muro”, testimonianza del lavoro dei nidi e delle scuole dell’infanzia reggiane che aveva debuttato l’anno precedente a Reggio.
Da qui si sviluppa il successo della mostra, progressivamente aggiornata fino alla versione de “I cento linguaggi dei bambini”, che per più di 25 anni ha girato il mondo
sostituita ora dalla mostra “Lo stupore del conoscere”, che racconta l’evoluzione dell’esperienza. La mostra favorisce inoltre l’intensificarsi degli scambi anche con l’estero: anno dopo anno sempre più persone di diversi Paesi, di diversa professione e a diverso titolo, si avvicinano all’esperienza educativa reggiana, alimentando esponenzialmente la sua “notorietà” internazionale.
“La scuola più all’avanguardia del mondo”
La crescente fama internazionale diviene più evidente nel 1991, quando una giuria di esperti, attraverso la prestigiosa rivista statunitense “Newsweek”, identifica nella Scuola comunale dell’infanzia Diana, in rappresentanza della rete dei servizi comunali, l’istituzione più all’avanguardia nel mondo rispetto all’educazione dell’infanzia. Negli anni si intensificano la consulenza, gli scambi e le collaborazioni. Dal 1995 si avvia un dialogo dal carattere eccezionale con il Professor Jerome Bruner: l’illustre psicologo ogni anno si reca a Reggio per iniziative e incontri, ove nel 1997 viene insignito della cittadinanza onoraria e nel giugno 2003 della Laurea ad Honorem dall’Ateneo di Modena e Reggio Emilia. Negli stessi anni si consolida il rapporto avviatosi nel tempo con Howard Gardner e Project Zero dell’Università di Harvard, con cui si sviluppano progetti di ricerca e collaborazione. Sono degli stessi anni i rapporti con il Ministero della Pubblica Istruzione Italiana, che non solo riconosce ufficialmente, per la prima volta dopo oltre trent’anni di vita, il valore dell’esperienza reggiana, ma che propone anche una convenzione con il Comune di Reggio Emilia per la qualificazione della scuola dell’infanzia statale in Italia.
La Fondazione Reggio Children
Con l’obiettivo di promuovere “l’educazione e la ricerca per migliorare la vita delle persone e delle comunità a Reggio Emilia e nel mondo”, è nata ufficialmente il 29 settembre 2011 la Fondazione no profit Reggio Children Centro Loris Malaguzzi. L’esperienza di qualità locale diventa volano per portare avanti la ricerca insieme e in un’ottica di scambio anche con altre realtà internazionali. Diffondere in tutto il mondo i valori del Reggio Emilia Approach, anche attraverso il confronto con altri Paesi e altre esperienze e contribuire allo sviluppo del Centro Internazionale Loris Malaguzzi come centro di ricerca, innovazione e sperimentazione nei diversi ambiti del sapere, sono gli obiettivi principali della Fondazione. Membri della Fondazione sono il Comune di Reggio Emilia, NAREA North American Reggio Emilia Alliance, REI Reggio Emilia Institutet, Red Solare Argentina (parte del Network Internazionale di Reggio Children), Effe 2005 – Gruppo Feltrinelli, CIR Cooperativa Italiana di Ristorazione, Coopselios Fondazione Manodori, Antonio Malaguzzi. Recentemente, anche il Governo del Sud Australia ha annunciato il proprio ingresso nella Fondazione.
Il ruolo della tecnologia
Le tecnologie, da sempre, entrano nei nidi e nelle scuole dell’infanzia di Reggio e diventano uno di quei “cento linguaggi del bambino” intorno al quale ruota il Reggio Emilia Approach. Ma in che modo? Non in modo “separato”, ma “intrecciato” al resto. Un esempio tra tutti è l’atelier “Paesaggi digitali” che si trova al Centro Internazionale Loris Malaguzzi a Reggio Emilia, luogo considerato una sorta di “manifesto del Reggio Emilia Approach”. In questo “luogo di luoghi”
l’atelier è il luogo della creatività, l’essenza stessa del Reggio Emilia Approach
è possibile indagare e scoprire possibili incontri tra matericità e strumenti digitali: due approcci tenuti separati sino a poco tempo fa ma che è ormai impensabile non intrecciare, creando nuove idee di manualità e digitale.
Secondo un approccio ecologico, la tecnologia entra nel quotidiano, non domina, ma si mescola con altri linguaggi.
«I “nativi digitali” hanno un atteggiamento disinvolto nei confronti della tecnologia: il loro approccio è fortemente empatico e avventuroso, per nulla gerarchico. – dice Francesca Severini, portavoce della Fondazione – Mescolano l’uso del video, la webcam, la tavoletta grafica, le proiezioni e gli oggetti, creando paesaggi immaginari e meravigliosi di cui, essi stessi, sono parte integrante. Lo spazio e gli strumenti a disposizione nell’atelier sono un invito a esplorare le zone di confine tra ottica e scenografia, grafica e tridimensionalità, costruttività reale e immateriale, ricercando nuove connessioni tra le parti. Il “contagio” mescola tutto, rompe schemi e categorie tradizionali e reinventa il modo sia di concepire il digitale, sia di concepire la materia» conclude Severini.