Dopo l’acquisizione di Aol, Verizon completa una strategia da 10 miliardi per la trasformazione in media company digitale. Si ritrova, a buon prezzo, una fetta importante di fatturato pubblicitario e utenti online
Un addio e un benvenuto. Il commiato va a Yahoo, marchio storico del web che, smembrato e con altro nome, si trasformerà in holding finanziaria. L’accoglienza è riservata a Verizon, un colosso della telecomunicazione che s’impone sul mercato di internet. Non perché prima non esistesse: con l’acquisizione di Yahoo da 4,8 miliardi s’impone come sesto catalizzatore pubblicitario online. E si arricchisce in un colpo solo di utenti, ricavi, contenuti e tecnologie. Tutto quello che può servire a Verizon per trasformarsi da società di tlc a moderna media company. A prezzo di saldo.
L’acquisizione spiegata con i numeri
La mossa di Verizon non può essere vista senza valutarne un’altra: poco più di un anno fa ha acquisito Aol per 4,4 miliardi. Oggi quella strategia si completa (o almeno fa un altro passo). Perché Aol e Yahoo saranno pure diventati, con gli anni, due marchi dal sapore un po’ vintage.
Ma sono (presente indicativo) due potenze del web. Il gruppo guidato da Marissa Mayer, nonostante tutto, resta la sesta compagnia per fatturato pubblicitario digitale: nel 2016 incasserà 2,83 miliardi di dollari. Verizon, in colpo solo, mette le mani su una cassa doppia rispetto al proprio fatturato pubblicitario (1,39 miliardi grazie ad Aol). Messi insieme, valgono già 4,22 miliardi in advertising.
Più di Twitter o Microsoft (LinkedIn incluso). Davanti ci sono solo tre cinesi (Tencent, Alibaba e Baidu) e, in vetta, lontanissimi, due occidentali (Google e Facebook). Se fino a ieri il principale concorrente di Verizon poteva essere un gruppo come At&T, oggi l’attenzione si sposta su Mountain View e Menlo Park. Con una speranza: che l’acquisizione di Yahoo non sia una mera somma ma un moltiplicatore di cassa.
L’altro numero da tenere in considerazione è quello degli utenti. Sarà anche una nobile decaduta, ma negli Stati Uniti (il mercato principale di Verizon) la piattaforma di Yahoo è terza per utenti unici mensili: ne conta ancora più di 204 milioni. Quelli di Aol sono più di 166 milioni. Verizon potrà contare su un’audience complessivo da 370 milioni di utenti solo negli Stati Uniti. Per fare un confronto: Google si ferma a 259 milioni e Facebook a 206 milioni.
La galassia dei contenuti Verizon
Per avere pubblicità servono utenti. Per avere utenti servono tecnologia e contenuti. Yhaoo ha entrambi. È anche su questi termini che si gioca la strategia di Verizon. Accanto alle sue mail, Yahoo porta in dote la sua divisione di advertising e il network dei suoi siti.
Alla prima appartengono Brighroll, strumento acquisito nel 2014 per 640 milioni che incrocia domanda e offerta pubblicitaria online, e Gemini, specializzato nel native advertising.
I siti comprendono innanzitutto Yahoo Finance e Yahoo Answers. Si aggiungeranno alla galassia che fa già capo ad Aol e che comprende Huffington Post (accreditato di 79 milioni di utenti unici nel mondo), TechCrunch (altri 12 milioni), Crunchbase, Engadget. Il nuovo gruppo non trascurerà neppure la realtà virtuale: ad aprile Aol (tramite l’Huffington Post) ha acquisito lo studio per la produzione di video in realtà virtuale Royt.
Con Yahoo arrivano anche Flickr, il social per la condivisione di fotografia, e Tumblr. Yahoo, che nel 2013 lo aveva pagato 1,1 miliardi di dollari, ha dovuto svalutarlo, in due riprese, per 700 milioni. Verizon si ritrova così in casa a prezzo stracciato un social network che avrà anche deluso le aspettative ma è pur sempre il settimo al mondo, con 555 milioni di utenti attivi ogni mese (più di Instagram e Twitter).
Perché i colossi delle telecomunicazioni investono nei media
Quella delle tlc che investono in produttori di contenuti è una tendenza ormai consolidata. E racconta un cambiamento epocale: le società tradizionali di telecomunicazioni, scosse dalla guerra dei prezzi, cercano altri lidi. Servizi telefonici e connessione diventano una commodity: serve trasformarsi in una media company digitale. Lo stanno facendo anche Comcast (acquisendo NBCUniversal) e AT&T (con DirectTv).
Anche in Italia si sta assistendo a una convergenza tra contenuti e tlc. Telecom Italia è controllata da Vivendi, società francese proprietaria di Canal +, Universal Music e con partecipazione in Mediaset. L’intreccio con il mercato dei contenuti si stringe, tanto che a giugno Telecom ha creato una nuova divisione, Multimedia Entertainment & Consumer Digital Services. Se ne occuperà direttamente l’amministratore delegato Flavio Cattaneo, a conferma della sua centralità.
Cosa succederà adesso a Yahoo
Quella di Yahoo è una storia di occasioni perse. Nel 2008, il fondatore Jerry Yang rifiutò la proposta di Microsoft: 44,5 miliardi di dollari. Yang avrà anche peccato di presunzione (tanto da essere poi costretto a lasciare la guida del gruppo), ma alzi la mano chi immaginava che Yahoo sarebbe stato venduto per meno di 5 miliardi. Meno di un quinto di quanto Microsoft ha pagato LinkedIn il mese scorso.
Due anni fa, Tim Armstrong, il capo di Aol, si rese conto che due pesci medi non potessero sopravvivere da soli in un mondo di squali. Propose a Marissa Mayer (sua ex collega in Google) una fusione. Altro rifiuto. A breve Armstrong, rimasto in sella anche dopo l’acquisizione da parte di Verizon, guiderà la divisione che includerà Aol e Yahoo.
Yahoo scomparirà. Diventerà una holding finanziaria per gestire il suo asset di maggior valore, la partecipazione in Alibaba. Marissa Mayer va verso una buonuscita da 57 milioni di dollari. Il pezzo di gruppo comprato da Verizon sarà assorbito da Aol. Armstrong ha parlato di “sinergie”. Che spesso, in un’operazione come questa, corrispondono a un taglio di costi e posti di lavoro.
Paolo Fiore
@paolofiore