Ele è stato ideato dal dottorando Mirko Gelsomini. Dal laboratorio I3Lab l’ingegnere lavora a un progetto che faciliti la didattica soprattutto di chi soffre di disturbi dello spettro autistico
Si chiama Ele che sta per elefantino. Il suo papà è Mirko Gelsomini, un 29enne dottorando al Politecnico di Milano, uno di quelli che pur avendo i numeri ha scelto di restare in Italia a fare ricerca. Ele è un robot sociale, una di quelle invenzioni che potrebbero cambiare la didattica, il modo di stare e fare scuola, soprattutto con i bambini autistici. Fino a qualche anno fa nessuno l’avrebbe mai immaginato, ma oggi al Politecnico il gruppo I3Lab, nato nell’ateneo milanese, sta lavorando affinché la tecnologia e l’informatica siano a servizio della scuola, degli ospedali, dei terapisti.
L’Italia al posto degli States
Sa molto di missione spaziale per ora, ma in realtà qualche pianeta l’ingegnere Gelsomini l’ha già esplorato, soprattutto grazie alla sua esperienza al Mit di Boston dove ha lavorato allo sviluppo di altri due progetti di robot: Huggable e Tega. Il 29enne lombardo avrebbe potuto scegliere la strada americana: a Boston lo avrebbero voluto nei loro laboratori, ma lui ha deciso di provarci qui, in un Paese dove i soldi per la ricerca non sono gli stessi di quelli che si investono negli Stati Uniti.
Il robot mediatore
Il modello che ha in testa il giovane inventore è quello di un robot diverso da Nao, che non si sostituisca al docente ma che possa essere un mediatore tra l’adulto e il bambino. Non a caso, quando Gelsomini parla del suo Ele, non fa una lista di paroloni per esperti del mestiere, ma cita elementi pedagogici. Hai l’impressione di parlare con un insegnante-terapista-informatico più che con un ingegnere. È la marcia in più che ha un giovane di una generazione che per la prima volta ci sta offrendo l’opportunità di avere a che fare con robot che diventano sociali. Non più macchine da mettere in azienda al posto dell’uomo e nemmeno da usare in casa come attrezzi domestici, ma in grado di stabilire rapporti che possono essere utili a medici, maestri, pedagogisti.
Obiettivo accessibilità
L’altra sfida che si è dato Gelsomini è l’accessibilità: inutile parlare di un robot che possono usare in pochi perché pochi possono permettersi di spendere parecchi soldi per averlo. L’informatica e la tecnologia devono diventare economiche, alla portata di tutti. StartupItalia! ha contattato l’ingegnere per capire che cos’è successo fino ad oggi nel laboratorio del Politecnico e che cosa accadrà nei prossimi mesi e anni.
Lei è stato a Boston in un gruppo di ricerca che ha fatto grandi progetti in Usa.
«Sono stato negli Stati Uniti per sviluppare un progetto che interessava la robotica applicata in casi di autismo. Ho progettato Huggable e Tega, due robot nati grazie a fondi quasi infiniti rispetto all’Italia. Lì si hanno risorse per la più piccola parte del robot fino alla più grande aprendo contatti con le più grande aziende del settore».
Huggable e Tega
A che servono Huggable e Tega?
«Tutti i robot che abbiamo progettato non rimpiazzano il docente, ma sono mediatori sociali. Huggable è una sorta di robot orsacchiotto utile negli ospedali che abbiamo pensato per essere un amico, un compagno con cui confidarsi e raccontare come stai vivendo quell’esperienza. Il bimbo parla, il robot trasmette il sonoro al medico che si trova in un’altra stanza e può rispondere attraverso il robot. Tutta l’esperienza è attraverso dei giochi con cui il bambino si confida. La commissione etica ha valutato tutto attentamente. Ad oggi è stata fatta anche una comparazione tra Huggable, un robot in un tablet e oggetti cartacei. Risultato? Il robot aumenta il grado di confidenza. Uno dei problemi di Huggable è il costo eccessivo».
Il robot Tega
© MIT
E Tega a cosa serve?
«Per Tega ho sviluppato un software in grado di riconoscere lo stato emotivo del bambino. Un processo interno che permette di capire cosa sta accadendo. Un processo automatizzato che fa in modo che i bimbi possano essere ascoltati e migliorare il loro vocabolario. Un robot dedicato alle scuole».
A scuola o negli ospedali
Da qui l’idea di far nascere Ele.
«Sono partito da un dato di fatto: in Italia i finanziamenti degli Usa non esistono. Abbiamo pensato di sviluppare un sistema che potesse essere trasversale a diversi bisogni: alla scuola, all’ospedale. Ele è nato dopo che sono tornato da Boston, in uno dei corsi del Politecnico di Milano realizzato con alcuni studenti. Il suo compito è di mediatore sociale, di mandare in diretta l’audio; è dotato di riconoscimento facciale, delle emozioni, del suono e del tocco in modo che si capisce se viene accarezzato, schiaffeggiato».
Un robot elefantino che potrebbe essere un ausilio anche per i ragazzi che manifestano disturbi dello spettro autistico.
«La tecnologia è più attrattiva per loro, a livello sociale è più facile la comunicazione rispetto al corpo umano. Ele è un oggetto molto semplice e intuitivo che aiuta il bambino a stare tranquillo. L’ elefantino non si stanca mai, è prevedibile, ripetitivo in modo che il bimbo impari nel giusto modo, crea un’esperienza più facile e più capibile. Stiamo perfezionando il fattore degli occhi. Ora si trova nel laboratorio del Politecnico. Faremo presto delle valutazioni per capire le vere potenzialità sia nel contesto scolastico, sia negli ospedali».