Il Ministero dell’Istruzione ha diffuso il rapporto sui Big Data realizzato negli ultimi mesi: un documento con alcune indicazioni per diffondere la cultura dei dati ed evidenziare la loro importanza per la società
Come si utilizzano grandi quantità di dati? Da dove vengono? Perché è così importante che la scuola e l’università offra percorsi di formazione in questo ambito? Per rispondere a queste domande, qualche mese fa, il ministero dell’Istruzione ha istituito un gruppo di lavoro sui Big Data: alcuni esperti sono stati chiamati per avanzare proposte per migliorare il modo in cui il sistema formativo italiano tratta i suoi dati e come li rende fruibili. Il 28 luglio il Ministero ha presentato un rapporto in cui si evidenzia la necessità di aggiornare i processi formativi con un ottica rivolta ai Big Data, settore che sta diventando cruciale in tutti gli ambiti. Il gruppo di lavoro, composto da Fabio Beltram, Sabrina Bono, Francesco Castanò, Davide D’Amico, Luca De Biase, Letizia Melina, Donatella Solda, e Roberto Torrini, si è occupato di comparare i maggiori centri di formazione a livello europeo che si occupano di Big Data al fine di trarre delle indicazioni per il Ministero e in generale per la Pubblica Amministrazione. La fotografia che ne è uscita punta l’attenzione su come in Italia si debba costruire una “cultura del dato”: imparare a raccoglierli, insegnarne l’importanza, promuovere percorsi specifici che non siano solo appannaggio di chi si iscrive a informatica.
Raccogliere Big Data
Come spiega il rapporto, i big data non sono solo grandi quantità di dati, ma informazioni capillari utili per evidenziare criticità, analizzare situazioni e generare conoscenza. Prima di tutto, per poterli usare e studiare, i dati occorre possederli: il gruppo di lavoro ha sottolineato l’esigenza di creare delle policy nella scuola e nella PA per raccogliere e gestire i dati attraverso la definizione di standard nazionali per le banche dati e la promozione di bandi per progetti che riguardino i Big Data.
Educare al valore del dato
L’educazione al valore del dato, dicono gli esperti, deve necessariamente partire dalla scuola primaria, dove i bambini devono iniziare a sviluppare competenze digitali. Ma non devono essere solo gli studenti ad essere formati. Anche il personale scolastico e amministrativo della scuola deve avere la possibilità di seguire percorsi di formazione sui Big Data che diventano ancora più importanti quando si passa al settore universitario. Il rapporto ha sottolineato l’esigenza di inserire corsi introduttivi alla data science in tutti i percorsi di laurea e post-laurea, a partire dalle triennali e incoraggiare percorsi specializzati durante i percorsi magistrali e i dottorati di ricerca.
Ampliare l’offerta universitaria
Da un’analisi comparata si è visto che mentre Regno Unito e Usa hanno tantissimi corsi di laurea e percorsi formativi legati ai Big Data, in Italia i corsi disponibili restano legati a chi sceglie le facoltà di informatica e ingegneria, mentre ci sono poche applicazioni per quanto riguarda altre aree, con la conseguenza che chi ha seguito percorsi diversi, per esempio in medicina, ha grandi difficoltà ad entrare ai master sui Big Data. Per questo è necessario ampliare l’offerta in questo tipo di specializzazione dentro gli atenei.
“Con questo Rapporto il Ministero presenta per la prima volta una propria riflessione attenta e di qualità su questo tema da cui sono nati spunti e sollecitazioni a cui daremo risposte immediate”, ha detto il ministro Stefania Giannini, che ha ricordato come il Piano Nazionale Scuola Digitale sia improntato in più punti a valorizzare l’educazione ai dati: “Penso al progetto Programma il Futuro grazie al quale abbiamo coinvolto 1 milione di ragazzi in attività di coding e pensiero computazionale. Similmente a quello del coding, lavoreremo per offrire un percorso di Big Data a tutti gli studenti e studentesse italiane”.