Secondo una ricerca condotta da Episteme per Axa Italia il 45% delle persone non ha un’idea precisa sui big data, mentre il 35% li vede come una fonte di stress
Alla domanda “come percepite i big data”, il 45% delle persone ha risposto che non sa cosa siano. Il 35% li ha definiti come “uno stress che complica sempre di più le nostre vite”, mentre solo il 20% li considera uno strumento che migliora la qualità della vita. Questi dati sono stati presentati stamane da Monica Fabris, presidente Episteme nella cornice dell’Italian Axa Forum 2016. Il report “Gli italiani, il labirinto dei dati e il ruolo del settore assicurativo” ha fatto un quadro su come gli italiani percepiscono il loro rapporto con le tecnologie digitali sia come fruitori, sia come produttori di tracce digitali (ovvero i big data, che sono una raccolta di dati così estesa in termini di volume, velocità e varietà da richiedere tecnologie e metodi analitici specifici per l’estrazione di valore).
Il sondaggio
La ricerca è stata svolta tramite tecnica CAWI (computer-assisted web interviewing) a un campione di 1675 individui dai 15 ai 74 anni per un totale di 3652 interviste, effettuate tra luglio e agosto 2016. Il fatto che i dati siano stati raccolti tramite internet, naturalmente, identifica il campione con alcune caratteristiche sociodemografiche e socioculturali: alta scolarità, buona dimestichezza con la tecnologia, curiosità e apertura alle innovazioni. Nonostante questo, dal sondaggio è emerso che le persone hanno ancora un approccio contraddittorio ai big data: c’è una parte che ne è entusiasta, ma la maggioranza è ancora scettica, e non sa proprio cosa siano. Altri, ancora, sono impauriti dalla possibilità di perdere la privacy.
Connessione perenne e briciole digitali
Eppure il 72% degli intervistati passa la sua giornata connesso ad internet, utilizzando in primo luogo motori di ricerca (92%) e mappe con geolocalizzazione (67%) lasciando continuamente tracce digitali. “Siamo costantemente immersi in una intelligenza artificiale diffusa – ha detto Monica Fabris – quello che di noi resta in rete dà vita a nostri ‘doppi digitali’, alter ego parziali tuttavia dotati di senso, comprensibili e soprattutto prevedibili grazie alla lettura offerta da algoritmi che sembrano comprenderci meglio di noi stessi”.
Come abbiamo visto il 45% degli intervistati non ha un’opinione sui big data, mentre quasi il 35% accusa stress. Questa sensazione di disagio è dovuta a vari fattori: dipendenza dai motori di ricerca, la sovrastima della proprie capacità nell’usarli, e lo scarso controllo dei propri dati immessi nel sistema, difficoltà a capire i meccanismi gli algoritmi che regolano la rete.
Un fattore molto importante nella percezione dei big data è quello della privacy: la raccolta dei dati su internet causa la paura di perdere i propri diritti su contenuti e immagini. Il 70% degli intervistati, infatti, si è trovato concorde nel credere che i big data rappresentino una specie di “Grande Fratello”, uno strumento di controllo dei cittadini sempre più efficiente. Tuttavia molti hanno anche ammesso il loro valore nel trovare nuovi prodotti o servizi personalizzati (61%) e nell’aiutarci a gestire meglio le nostre scelte di vita (40%). Per quanto riguarda la perdita della privacy, la preoccupazione maggiore in questo settore concerne la clonazione di carte di credito e frodi digitali (62%), il furto di password e codici personali (61%), e il furto di identità, quindi account con nome e cognome (55%).