La siccità, la natura, il progetto dell’albero che produce acqua e toglie la sete. Intervista con l’architetto italiano Arturo Vittori, che racconta come nasce Warka Water
“L’idea del progetto è nata durante un viaggio in Africa. Nel 2012, sono andato ad Addis Abeba per una conferenza, e ho avuto modo di fare un viaggio all’esterno della capitale. Sono rimasto impressionato dalla bellezza del contesto e dal modo in cui le persone ancora vivono connesse con la natura e con il paesaggio. Ho visto con i miei occhi il problema della mancanza di acqua potabile e ho osservato persone trasportare recipienti pieni di acqua per chilometri. Acqua che spesso non è potabile”. Warka Water, l’albero che produce 100 litri di acqua al giorno in Etiopia e toglie la sete a migliaia di persone afflitte dalla siccità, nasce da questo: da una visione, una consapevolezza, “dalla presa d’atto di un problema tra i più grandi al mondo”. Parola di Arturo Vittori, l’architetto italiano ideatore di Warka Water, di cui avevamo parlato in occasione della Giornata internazionale dell’acqua.
Vittori, è possibile concepire un modo di vivere a contatto con la natura che concili, nel contempo, il progresso?
Il modo con cui costruiamo le nostre città è completamente alienante. Nella visione urbanistica odierna non vedo nessuna tendenza al contatto con la natura, gli orti verticali e strumenti simili sono dei camouflage. Queste operazioni non hanno nulla a che vedere con l’architettura sostenibile, si tratta di mettere una bandierina per dire che si sta tentando di introdurre il verde nelle città. Per osservare qualcuno che vive in contatto con la natura, bisogna andare in Africa o in alcune zone rurali. Valori che abbiamo completamente perso e che io ho appreso, grazie al contatto con queste popolazioni. La natura è tutto, noi siamo natura.
A che punto è il progetto Warka Water?
Il progetto è appena cominciato. Il Warka è come un bambino, sta iniziando ora a camminare. Sono tre anni, possono sembrare tanti, ma sono pochissimi per un progetto nuovo, diverso. Siamo nel pieno dello sviluppo. Il prototipo che è stato realizzato in Etiopia è stato finanziato, ma ora bisogna procedere. Il Warka è un progetto puntuale, ma “piccolo”, se si pensa alla scala del problema che si spera possa risolvere.
Come mai ONG importanti che avrebbero i mezzi per finanziare la tecnologia del Warka non intervengono con dei fondi?
Le grandi ONG sono alla ricerca di tecnologie consolidate. Quindi sono disposti a investire su qualcosa che, una volta acquistata, sia pronta all’uso. Il Warka è invece un progetto in sviluppo, abbiamo bisogno di fondi e tempo per portarlo al punto di compimento richiesto da queste agenzie. Il pozzo, ad esempio, si presta maggiormente alle esigenze di queste ONG, anche se costa molto e la possibilità di fallimento è alta. L’idea del fallimento però è consolidata nel pozzo stesso, quindi fare un pozzo, fallire e buttare 50.000 dollari è qualcosa che è stato culturalmente accettato. Il Warka non è un prodotto, non è una macchina che riesce a dare risultati indipendentemente, è contestualizzato: ha una struttura biodegradabile che non crea danni all’ambiente ed è passiva, perché non consuma energia. Noi non siamo abituati a ragionare su questi tipi di progetti, proprio perché ci siamo scollegati dalla natura. Siamo abituati ad aprire un rubinetto e avere l’acqua potabile, la natura non funziona così: per creare acqua, l’ambiente impiega tempo e risorse, goccia dopo goccia l’acqua scende dalle montagne, creando ruscelli, fiumi e laghi. Warka è anche questa consapevolezza, goccia dopo goccia si può fare la differenza e aiutare delle persone. Una volta raggiunti i livelli necessari per creare delle economie di scala, un Warka costerà solo 500-1000 dollari.
L’albero è un punto di ritrovo ed è mantenuto e mantiene la comunità
Come valuta quindi l’approccio delle grandi ONG?
Il modo di ragionare delle ONG è agli antipodi, col mio lavoro io cerco di creare innovazione e di vedere nuovi modi e soluzioni diverse. Non concepisco la staticità mentale e fisica che caratterizza queste grandi organizzazioni, ma è l’unico modo in cui accettano di lavorare. L’innovazione si trova al polo opposto di questo modo di lavorare. Solo rischiando, si possono trovare delle alternative. Ricordiamo inoltre che parliamo di tecnologie già sfruttate dalle antiche popolazioni, questa pratica si è solo persa.
Quali sono questi diversi termini di misura di cui parlava nel rapporto tra Warka e le comunità?
Le ONG lavorano in grandi situazioni, Warka è pensato per piccole comunità, in luoghi che sono spesso difficili da raggiungere. Il Warka non è solo una tecnologia, è un luogo, un’architettura. Ha molte più funzioni che la semplice erogazione di acqua.
Cos’è Warka?
Warka prende il suo nome da un albero che cresce in Etiopia, che è simbolo di molte comunità. L’albero è un punto di ritrovo ed è mantenuto e mantiene la comunità. Crea una zona di riparo, qui si organizzano momenti di incontro e di scambio. L’albero e la comunità si supportano a vicenda. In Etiopia, dove la deforestazione sta sfigurando il paesaggio, l’attaccamento alla natura è diventato ancora più forte. Warka ambisce a diventare una struttura che è mantenuta dalla popolazioni, usata in diverse parti della giornata e della settimana, che svolge più funzioni: centro di ritrovo e di educazione, fonte di illuminazione, acqua e cibo. Solo in questo modo il progetto potrà essere gestito dalle comunità locali, come prevede la nostra mission originaria.
Nessuno oggi raccoglie acqua dall’atmosfera, ma in passato è stato sempre fatto
Ma quindi servono più Warka per comunità più grandi?
No, una volta compresa la tecnologia che sta alla base del Warka, questa può essere applicata a edifici, case, torri. Nessuno oggi raccoglie acqua dall’atmosfera, ma in passato è stato sempre fatto. La città di Venezia, ad esempio, era stata progettata per raccogliere l’acqua dall’atmosfera; non ha infatti mai avuto acquedotti, perché sarebbe stato qualcosa di eccessivamente vulnerabile. Tutte le calle a Venezia hanno un pozzo centrale, che non funziona più oggi, ma che veniva sfruttato in tempi passati. Questo è Warka: una tecnologia che era già stata ampiamente utilizzata da popolazioni come gli etruschi. Nella progettazione della città del futuro, dobbiamo riscoprire il nostro passato; con questi presupposti, Warka potrebbe avere un ruolo centrale.
Quali saranno i prossimi step?
Siamo sempre alla ricerca di fondi, per sviluppare il progetto in maniera adeguata. Quotidianamente, cerchiamo bandi a cui partecipare e compiliamo business plan. Questi sono step fondamentali per consolidare il progetto e la tecnologia. Warka water non si inserisce nell’ambito del profit, ma è no profit e open source: chiunque può acquisire i dati e replicarne il modello; il suo core-concept risiede quindi al di fuori dagli schemi normalmente utilizzati dalla nostra società, che si basa sul commercio e sul guadagno.
In che modo state cercando allargare il network di Warka?
Abbiamo preso contatto con aziende e persone in altri Paesi, che potrebbero essere interessati all’idea. Stiamo lavorando in india, Nepal, Indonesia, Colombia. Qui abbiamo preso già contatti con Università, Governi locali, team di lavoro. Si punterà, col supporto di questi partner, allo sviluppo di vari prototipi, indispensabili per passare alle fasi successive. Stiamo volgendo il nostro sguardo a Paesi con ambienti sociali e geo-morfologici diversi, per riuscire ad acquisire un’esperienza quanto più variegata possibile. Stiamo ora preparando una grande campagna mediatica, con diverse esposizioni in Europa, nella speranza di coinvolgere persone, aziende, Governi. Saremo alla Biennale di Venezia, che apre il 28 maggio, dove il Warka sarà esposto per 6 mesi. In Francia, saremo presenti a Bordeaux dalla metà di maggio e il museo di storia naturale di Muster ha richiesto un modellino in scala ridotta del Warka, per conservarlo nella propria collezione permanente. Abbiamo appena vinto un prestigioso premio internazionale, che ci ha portato una grande visibilità. Sono tutte cose che ci auguriamo possano aiutarci nel nostro obiettivo.