Nel 2030 il 70% della popolazione mondiale vivrà nella città. E’ un dato che non dovrebbe meravigliarci. Le città storicamente sono nate diversi millenni fa per un desiderio di stare insieme, per contrastare la natura che non conoscevamo e faceva paura. «Purtroppo negli ultimi sessant’anni abbiamo perso di vista il concetto dello stare insieme costruendo periferie sempre più grandi e città esclusive» afferma il noto architetto Mario Cucinella intervenendo al Festival di Internazionale a Ferrara. Cucinella fondò a Parigi nel 1992 lo studio MCA e da quel momento si è sempre dedicato all’architettura ponendo particolare attenzione alle tematiche sociali ed ambientali.
Basta visitare qualunque città del mondo per notare come l’architettura sia sempre più utilizzata come vetrina attrattiva poco legata alla funzionalità. La casa danzante a Praga, la casa piano ad Huainan in Cina o il Robot Building a Bangkok, sono esempi di come l’architettura sia associata al concetto di bellezza assoluta. «Costruiamo edifici sempre più strani, alternativi, di tendenza, però rischiamo di trasformare le città in zoo con tanti edifici diversi ma alla fine, cosa ci stanno dicendo? Che relazioni generano con gli abitanti?»
La bellezza non salverà il mondo
Quando viene progettato un edificio usualmente si studiano i perimetri senza preoccuparsi troppo dell’aspetto relazionale che una nuova costruzione genererà. «C’è troppa fiducia negli architetti progettisti di città, le quali, storicamente, non sono mai state costruite da architetti. Le Corbusier ci ha provato con scarso successo». Città disegnate a griglia come Brasilia con grandi distanze che non possono essere percorse a piedi, una città pensata per un trasporto veloce ma non a misura d’uomo. In molte città esistono edifici poco accattivanti che però svolgono funzioni sociali importanti. La bellezza non è solo estetica ma un fattore relazionale che sprigiona immaginazione. «L’errore che noi architetti facciamo è avere l’arroganza di sedersi ad un tavolo e disegnare la struttura urbana come se la città fosse un hardware mentre invece l’oggetto della città è il software, siamo noi. Se perdiamo di vista questo aspetto le città saranno sempre più anonime».
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La maggior parte delle persone vivrà nelle città in futuro e saranno questi luoghi a svolgere un ruolo determinante per formare nuove sensibilità, nuove abitudini con l’obiettivo di costruire città sostenibili. Da dove cominciare? Come affermava Loris Malaguzzi, ideatore del metodo educativo Reggio Children, l’architettura è il terzo educatore. Lo spazio dove un bambino cresce svilupperà la sua immaginazione. La pensava così anche Maria Montessori ritenendo che la gestione dello spazio, influenzasse l’apprendimento. Proprio a sottolineare l’importanza dell’aspetto educativo nell’architettura, Mario Cucinella ha scritto il libro Architettura dell’educazione (Maggioli Editore). «Come è possibile che della mia infanzia ricordi l’asilo e non il liceo? Ricordo quel giardino piccolo a misura di bambino, il muro non alto, la luce naturale. Il mio liceo invece era un casermone con lunghi corridoi e aule anonime, ho poco da ricordare». Il tema educativo sta particolarmente a cuore a Mario Cucinella che ha voluto pubblicare il libro in un momento in cui molti i miliardi del PNRR verranno spesi anche per l’edilizia scolastica. «Il punto non è la quantità delle risorse ma la qualità. È come se un padre di famiglia benestante decidesse di comprare cibo scaduto ai propri figli. Il modo in cui costruisci una scuola vuol dire prendersi cura del futuro».
È ormai dimostrato che la curva di apprendimento dei bambini è inversamente proporzionale al comfort della scuola. Se la temperatura nelle aule è troppo alta, l’apprendimento si riduce. Come mai il patrimonio scolastico relativamente recente è in pessime condizioni? La risposta prova a darla Mario Cucinella menzionando un lavoro che ha seguito in una scuola costruita nel 1920 a Belluno. «Il problema è che non impariamo dal passato. Le scuole avevano soffitti alti perché in un’aula con trenta bambini il livello di co2 dopo un’ora e mezza va in saturazione. Con un soffitto alto ed una finestra totalmente apribile, crei un sistema di ventilazione naturale. Oggi non costruiamo più scuole con queste caratteristiche. Non sono un nostalgico del passato ma bisogna capire il passato per costruire il futuro»
La complessità delle città
L’obiettivo dell’agenda 2030 impone una sfida ambiziosa, ridurre del 55% l’emissione dei gas serra. Le città sono i luoghi più inquinanti del pianeta ed abbiamo delegato tutto l’ottimismo a natura e tecnologia deresponsabilizzando l’uomo. L’Italia produce 450 milioni di tonnellate di co2 l’anno con una capacità di assorbimento della natura pari a 9 milioni. Piantare alberi è una cosa bellissima ma solo con questo non risolveremo il problema, serve altro». I tecno ottimisti ritengono che lo sviluppo tecnologico permetterà un efficientamento sempre maggiore ed un minore impatto ambientale. «Non potremo ottimizzare all’infinito, la tecnologia arriverà fino a un certo punto. A fare la differenza sarà come noi decideremo di interpretare il nostro modello di vita. Abbiamo vent’anni davanti e la politica dovrebbe iniziare ad essere più coraggiosa». Parigi in dieci anni ha cambiato la città, tolto parcheggi, creati giardini, piste ciclabili, ha reso pedonali, non senza polemica, il lungo Senna. «Qualche anno fa mi trovai a parlare con il direttore all’urbanistica di Copenaghen che quindici anni prima aveva iniziato a togliere parcheggi dal centro ad un ritmo del 5% l’anno. Mi ha detto che faceva in questo modo perché nessuno lo notava e così, nell’arco dei dieci anni, ha raggiunto l’obiettivo di togliere metà dei parcheggi». Ovviamente parallelamente a questa politica è stato potenziato il servizio di trasporto pubblico ed abituato la popolazione ad usare maggiormente la bicicletta.
«Le transizioni vanno guidate, la politica deve avere visione e coraggio». La popolazione mondiale è in crescita, nel 2050 raggiungerà i 9,7 miliardi di persone. Le cifre possono sembrare allarmanti ma se consideriamo la superficie totale della terra, considerando uno spazio di 100 mq a persona, la popolazione mondiale potrebbe stare in uno spazio della dimensione dello stato del Texas. Problema risolto? Tutt’altro, perché gli essere umani non sono pedine di una scacchiera, vivono in relazione ed innescano fenomeni complessi che le città dovranno gestire. «Abbiamo la fortuna di vivere nell’era dei big data, abbiamo dati di ogni tipo che la politica dovrebbe poter e saper utilizzare. Se decido di limitare la velocità a 30 km/h nel centro urbano, che impatto avrò sul traffico e sulla mobilità pedonale? È un tema complesso. I dati vanno trasformati in progettualità».
Smart city tecnologiche e umanità
L’edilizia ha fatto passi avanti da gigante consentendo di costruire edifici sempre più performanti. Basteranno le innovazioni tecnologiche a guidare la transizione ecologica? «La nostra grande rivoluzione non sarà tecnologica. Gli edifici dovremmo costruirli sempre meno tecnologici e concentrarsi invece sugli stili di vita che hanno un impatto sull’architettura». Mario Cucinella viaggia spesso per il mondo per seguire progetti e partecipare a conferenze. In uno dei suoi ultimi viaggi negli Emirati Arabi ha notato come la progettazione degli edifici abbia influenzato la percezione del clima. «Era marzo, facevano venticinque gradi, clima perfetto per noi ma notavo che gli emiratini sudavano perché nei loro edifici l’aria condizionata è impostata perennemente a diciotto gradi. Perché invece di essere ostili al clima non diventiamo amici del clima?». Non importa andare lontano, Mario Cucinella ha esempi più vicini a noi. «A Milano avevo progettato un edificio che prevedeva finestre che si aprivano in modo tale che, l’utilizzo dei condizionatori, fosse limitato al 40%. A Milano nelle mezze stagioni si può aprire la finestra. Un tecnico mi fermò subito dicendo l’aria era troppo inquinata quindi era necessario tenere i condizionatori sempre accesi e le finestre chiuse». Le città sono un ecosistema complesso, le politiche per ridurre i consumi energetici devono andare di pari passo alla riduzione dell’inquinamento. «L’architettura è un progetto olistico, non ci salverà solo la tecnologia, ci salverà il modo con cui progettiamo ed abitiamo gli edifici, solo così faremo un salto nel futuro»
SOS, School of Sustainability
Per questo motivo e per costruire una legacy, Mario Cucinella ha dato vita alla a SOS, School of Sustainability, un corso post-universitario per architetti dove lo studio di Cucinella trasferisce le competenze acquisite negli anni. «Proprio perché l’architettura è una scienza olistica, i ragazzi imparano anche un po’ d’ingegneria, devono capire i temi della ventilazione naturale ad esempio. Poi attraverso i nostri partner li mettiamo alla prova facendogli seguire alcuni dei progetti in corso». Le città nel corso degli ultimi anni sono diventate sempre meno inclusive e questo è dovuto in parte alle politiche abitative. I grandi centri urbani sono sempre più costosi ed inaccessibili. L’edilizia green e sostenibile sembra riservata solo a chi ha possibilità economiche. «Oggi paghiamo il conto di politiche sbagliate, è mancata una visione urbanistica. La politica di non costruire più niente ha portato ad avere studenti a Bologna che fanno i picchetti davanti al Comune perché non possono permettersi un alloggio. C’è una bella differenza tra non costruire e trasformare zone industriali, zone abbandonate, sostituire vecchi edifici. Adesso paghiamo il conto». Una città come Milano ha guardato per tanti anni a New York come modello economico, d’innovazione, di startup ma come New York, si trova ad affrontare l’emergenza abitativa con il paradosso di avere disponibilità di posti di lavoro che non possono essere occupati per il caro vita. «E’ il momento di iniziare a guardare al modello viennese che ha trovato un equilibro tra pubblico e privato. A Vienna è stato possibile fare edilizia speculativa a patto che venisse costruito nello stesso luogo un altro edificio a prezzi calmierati. Solo così è possibile ottenere un equilibrio sociale e città inclusive evitando i problemi delle periferie».