“La lingua è un organismo vivo e, con l’intenzione di proteggerla da ogni innovazione, si finirebbe per metterla in gabbia e farla morire triste e deperita come certe bestie feroci e meravigliose costrette alla cattività…”, scrive il linguista Giuseppe Antonelli nel libro Comunque anche Leopardi diceva le parolacce. L’italiano come non ve l’hanno mai raccontato (Mondadori). “Se si ama la propria lingua non c’è peggior delitto di volerla seppellire viva. Di imbalsamarla con norme e precetti considerati astrattamente eterni. Di ibernarla in nome di una mai esistita èra glaciale della perfezione”.
L’uso delle parole evolve di pari passo con la società, ma come stabilire quando una lingua va aggiornata? Se lo chiedono in molti da quando l’Osservatorio di Treccani ha presentato il Vocabolario 2022, la cui direzione scientifica è affidata ai linguisti Valeria Della Valle e Giuseppe Patota. In libreria dal primo ottobre, è diviso in tre volumi: Dizionario dell’Italiano Treccani, Dizionario storico etimologico e Storia dell’Italiano per immagini.
Un’edizione che registra tante evoluzioni rispetto a quella del 2018. Per la prima volta, per esempio, vengono inserite anche le forme femminili di nomi e aggettivi che tradizionalmente si trovano solo al maschile. Via libera, insomma, ad architetta, notaia, medica, soldata, avvocata, direttrice, assessora, chirurga. Ma anche a “gatta, gatto”, “bella, bello”, “adatta, adatto”, rigorosamente in ordine alfabetico. D’altro canto, ecco anche ricamatore e ricamatrice, stiratore e stiratrice, casalingo e casalinga.
“Per eliminare anche gli stereotipi di genere – secondo i quali a cucinare o a stirare è immancabilmente la donna, mentre a dirigere un ufficio o a leggere un quotidiano è puntualmente l’uomo – Treccani propone nuovi esempi di utilizzo e contestualizzazione ed evidenzia il carattere offensivo di tutte le parole e di tutti i modi di dire che possono essere lesivi della dignità di ogni persona”. Una rivoluzione che riflette “la necessità e l’urgenza di un cambiamento che promuova l’inclusività e la parità di genere, a partire dalla lingua”.
Non solo. L’Istituto dell’Enciclopedia Italiana dà il benvenuto a tanti neologismi ormai di uso corrente – distanziamento sociale, lockdown, smart-working, Covid-19, didattica a distanza, lavoro agile, infodemia, reddito di cittadinanza, rider, termoscanner, terrapiattismo, transfobia, revenge porn – e dice addio al “vocabolariese”, ovvero a “tecnicismi lessicografici, spiegazioni complesse e definizioni che necessitano di altre per essere comprese”. Le definizioni sono volutamente chiare, semplici, dirette e tanti esempi sono presi direttamente dalla rete, dai blog o dalle reti sociali, andando così incontro ai lettori più giovani e al loro mondo.
“Un cambiamento che promuova l’inclusività e la parità di genere, a partire dalla lingua”
Treccani e la parità di genere nel dizionario: il dibattito
Tutti d’accordo? No, anzi. La svolta di Treccani ha suscitato un acceso dibattito, dai giornali ai social network. In molti si sono indignati per questa decisione di mettere fine alla versione androcentrica del dizionario, sostenendo che così l’italiano non sarà più “la lingua più bella del mondo” e sottolineando che le nuove parole andrebbero inserite nel dizionario solo quando il loro uso si è diffuso tra le perone, non prima. Il linguista e sociologo Massimo Arcangeli parla di “operazione di marketing” e la definisce “ridicola”, “bizzarra”, “scientificamente insensata”, “ideologicamente inconsistente”.
Sul fronte opposto c’è chi ha accolto con favore questa volta. Come Adrian Fartade, scrittore e divulgatore scientifico: “La parola (soldata, ndr) viene descritta come una forma che esiste perché esiste. Che sia rara viene anche specificato spesso. Il dizionario registra che la parola esiste, così, quando viene consultato, si può vedere. Altre parole sono molto usate ora, come ingegnera e direttrice”.
“Il dizionario registra che la parola esiste, così, quando viene consultato, si può vedere”
“Quando tocchi il linguaggio delle persone tocchi un pezzo della loro identità e nessuno ama sentirsi dire che il modo in cui ha parlato fino a quel momento va aggiornato. Nessuno vuole sentirsi dire che è antico”, aggiunge la linguista Vera Gheno a L’Espresso. “Nel momento in cui una persona consulta il vocabolario, a questo punto, volente o nolente, si trova davanti sia il maschile che il femminile e in qualche modo la vista e il cervello si abituano a questa compresenza di generi”. “Il mutamento è il segnale della vitalità di un linguaggio, non della sua morte incipiente”.
“Se il nostro nuovo ‘Dizionario dell’italiano indica anche i femminili di nomi e aggettivi, non è per il mero gusto di sovvertire un’antica convenzione lessicografica”, scrivevano previdentemente su Instagram Valeria Della Valle e Giuseppe Patota, replicando in anticipo alle polemiche. “Accoglieremo le critiche con serenità”, annunciavano. “Ci sosterrà la speranza che fra qualche anno una donna che abbia deciso di professare l’architettura, l’avvocatura o la medicina, o che veda, nel suo futuro, la direzione di un’azienda o di un’orchestra, o infine che intenda arruolarsi nell’esercito, dopo aver sfogliato le pagine di questo dizionario, scelga di chiamare sé stessa architetta, avvocata, medica, direttrice, soldata anche perché ‘lo dice il Dizionario Treccani’”.