Che adulto diventa uno che all’asilo intuisce che la sua faccia spaventa gli altri bambini? Uno che per tutti gli anni della scuola viene fissato, indicato con il dito, deriso, bullizzato per quella faccia sfigurata dalla sindrome di Treacher Collins, una malattia che deforma le ossa della testa sformando tutto il viso, e compromettendo insieme anche il sistema respiratorio e uditivo? A lungo Raffaele non sembra trovare scampo al suo viso e cresce facendosi definire dalla sua difformità. Finché, diventato grande, non riesce a infilare una serie di testa coda esistenziali che trasformeranno quell’handicap in qualcosa di pregiato. Raffaele, infatti, prende tutto quel dolore che ha in circolo e gli fa imboccare la via del racconto, per convertirlo in parola. E realizza che quella faccia, invece che nasconderla, lui può offrirla all’arena della Rete perché incoraggi chi è stato bullizzato come lui a venire allo scoperto e raccontarlo a sua volta agli altri.
«Non ho mai voluto far la lezione a qualcuno. Francamente, so di non averne le competenze. E nemmeno voglio mettermi su quel tipo di piedistallo. Però quello che posso fare – quello che ho fatto e che sto facendo – è raccontare. Raccontare me stesso senza paura, apprezzare i miei tanti difetti e trasformarli in qualcosa di utile, o forse addirittura di pregiato. Raffaele brutto e cattivo si è improvvisamente invertito con un altro Raffaele. Non un Raffaele normale, perché ho capito che la normalità non esiste. È un’illusione. Un Raffaele e basta, dunque, uguale a tutti gli altri esseri umani», scrive nel libro in cui si racconta, Brutto e cattivo, la storia del ragazzo che ha visto la faccia vera del mondo, i cui capitoli sono scanditi dai tantissimi interventi chirurgici a cui, condotto per mano dalla sua famiglia, si è sottoposto.
Oggi Raffaele Capperi, 27 anni, è diventato testimonial riconosciuto contro il bullismo, riconosciuto al punto da essere nominato dal Presidente Sergio Mattarella Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Nel luogo più infido e incontrollabile, la rete, Raffaele è riuscito a fare accadere la cosa meno scontata per quel luogo: in quelle foreste di facce che sono Tik Tok, Instagram, Facebook, grazie al suo viso e alla sua storia è prima riuscito a farsi accettare, apprezzare, cercare e poi, fatto rifornimento di sicurezza, ha trasformato la sua lotta in quella che lui definisce la lotta di tanti, «una lotta per l’inclusione, l’empatia, i sentimenti positivi». Raffaele racconta di avere ricevuto anche offese e persino minacce. Certamente sa che c’è molto lavoro da fare, già solo perché la disabilità o, comunque, la diversità instillano nelle persone cosiddette normodotate problemi di percezione.
«Per loro, il dettaglio che rende diverso quell’individuo diventa l’individuo stesso. Un uomo non vedente non viene considerato come un uomo qualsiasi, ma come un non vedente e basta. Per quell’uomo la cecità è solo un elemento parziale, per gli altri diventa il totale della sua esistenza. Questo processo mentale vale per quasi tutte le disabilità fisiche. Chi non ha le gambe o non ha un braccio smette di essere una persona e diventa la sua disabilità», racconta. E questa attitudine a fare del dettaglio fragile la totalità della persona non risparmia anche chi sembra guardare alle diversità con clemenza, forse troppa clemenza o troppa pietà.
«Il problema del pietismo è che ancora una volta ti fa vedere la disabilità come totalizzante dell’individuo, annullando così l’individuo stesso», racconta. Per lui normalità e diversità sono concetti stereotipati, che avrebbero bisogno di nuovi significati e visioni meno connotate. In fondo, diversità dovrebbe suonare come una parola neutra, perché ciascuno è fatto a suo modo, necessariamente diverso dall’altro. O, se proprio bisogna cavarne una caratteristica speciale, potrebbe essere addirittura intesa come una qualità, una dote, persino un talento.
«C’è qualcuno che è diverso perché più alto, più forte, più bello, più muscoloso o più elegante. Ma anche più geniale o anche solo perché sa tirare una palla più lontano. Ecco, allora gli altri lo invidiano e vorrebbero essere tali e quali a lui. Anche la diversità del carattere può attrarre. Chi è esuberante e trascinatore crea seguaci, chi è riflessivo e calmo provoca ammirazione. Quando la diversità è interpretata come un difetto, invece, fa nascere solo odio e derisione. È strano, chi lo decide questo confine? Che cosa separa la diversità positiva da quella negativa?».
Raffaele Capperi, che ha provato sulla sua pelle di bambino piccolissimo gli schiaffi delle parole di scherno o di rifiuto, è convinto che il punto zero della svolta sia lì, nelle parole che si scelgono. Perché possono essere rassicuranti come una culla o letali come fucilate.
«Il Covid e lo stress che stiamo tutti quanti patendo ha sgretolato l’empatia», dice, annunciando che gli piacerebbe creare un’associazione contro il bullismo e le discriminazioni. «Io penso che l’uso buono delle parole, l’esercizio consapevole dell’empatia, il vocabolario della gentilezza possano molto. Credo che non ci si renda conto di quanto possano offendere e distruggere le parole che ogni giorno usiamo. Io non uso parole di gentilezza per essere ricambiato, ma perché – la gentilezza sì – mi fa stare molto bene».