44 progetti culturali, 330 giorni di programmazione, 240 artisti, 40 opere originali e 8 spazi culturali rigenerati: sono il programma che debutterà il prossimo 22 gennaio sull’isola di Procida, che ha ottenuto il titolo di Capitale italiana della Cultura 2022, e lo ha fatto – la piccola isola del golfo di Napoli – generando un progetto davvero originalissimo, nella sua genesi e nei suoi obiettivi. Un progetto che il ministro della Cultura Dario Franceschini ha definito “valido, innovativo e partecipato, in grado di proiettarsi a livello europeo”. StartupItalia incontra Agostino Riitano, direttore di Procida 2022, che lo ha attivato insieme a protagonisti piuttosto inediti: i cittadini dell’isola.
Agostino Riitano, esiste un modello Procida?
Certamente, esiste e consiste in un approccio di progettazione di sviluppo locale a base culturale e che perciò, insieme alla cultura, mette al centro la partecipazione attiva dei cittadini. L’obiettivo è costruire un immaginario collettivo dall’ascolto delle necessità e dei desideri della comunità, passo dopo passo, con continue esperienze di condivisione e collaborazione. Sto parlando di esperienze di capacity building e co-creazione che, a differenza della progettazione partecipata, prevede la capacità di co-generare insieme, sin dall’inizio.
Volete valorizzare, insieme al patrimonio artistico e naturalistico, il patrimonio vivente, i cittadini.
Sì, la comunità è il punto di partenza e il punto d’arrivo. All’interno di questo processo, crediamo fortemente nel fare bene, una spinta che va oltre il mero fare. Nella nostra lingua c’è un espressione che racchiude il fare bene, ovvero “fare a regola d’arte”, come si diceva nelle botteghe del Rinascimento: vuol dire che il bene, il valore che si persegue diventa più importante dell’azione stessa. Altro punto è innestare dentro la comunità le economie del dono, ovvero un processo di dare-ricevere-ricambiare, un movimento circolare dello scambio tale da creare una temperatura calda dentro la comunità per fare meglio scorrere i legami.
E infatti lo slogan del progetto è “La cultura non isola”. Ci dà una definizione di cultura, come sarà intesa in Procida Capitale 2022?
Per noi la cultura non è intesa come solo intrattenimento, ma come generazione di legami. Tutto lo sforzo della cultura è incentivare i legami, oggi più che mai direi rammendarli, dopo questo lungo tempo di isolamento. Nessun ambito, se non la cultura, potrà ricucire le relazione perdute di questo momento così complesso della contemporaneità.
Peraltro avete depositato slogan e progetto prima che scoppiasse la pandemia. In qualche modo avevate già intuito il protagonismo dei luoghi defilati, dei borghi, dell’Italia meno esposta.
Questo è vero e non credo che sia stato un caso. Credo che rientri nella portata epocale di questa vittoria, che è epocale per tante ragioni. È la prima volta che si è candidata un’isola, la prima volta che un’isola ha vinto, la prima volta che lo fa un piccolo borgo. Probabilmente è la prima volta che un progetto riesce a dimostrare che ciò che è piccolo non è necessariamente marginale, ma che in ciò che è piccolo e minore si custodisce la profezia di un cambiamento. Io sono convinto che oggi lo straordinario patrimonio culturale disseminato nei piccoli borghi d’Italia, anche alla luce della catastrofe del crollo del turismo per come l’abbiamo sempre immaginato, inviti chi decide le politiche pubbliche a non concentrarsi solo sulle città d’arte e sui grandi attrattori, ma a cercare nei piccoli centri un modello nuovo, che sia diffuso, ramificato, sostenibile.
Oltre alla centralità della cultura e della comunità, quali elementi secondo lei hanno deciso il successo della candidatura e dunque sono oggi punti forti del progetto?
Il nostro progetto, che è molto più simile a un grande piano strategico che a una programmazione culturale, è interamente ispirato ai 17 obiettivi dell’agenda Onu 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Il primo dei nostri punti lo abbiamo chiamato, prendendo in prestito la definizione coniata proprio dall’Onu per i giovani, Agenti critici del cambiamento: sono giovani donne, giovani uomini e bambini che per noi non sono solo un target, ma un ambito di esplorazione e progettazione. Avvieremo importanti programmi di educazione collettiva, in modo tale da generare un rinnovato loro protagonismo anche nella vita pubblica. Altro asse strategico sono le imprese culturali e creative, da leggere anche come chiave della transizione ecologica dei nostri territori: nella nostra visione rappresentano l’idea di Procida come laboratorio, come prima ipotesi di operazione Green Deal del Mezzogiorno d’Italia. Altre leve sono l’innovazione sociale e la rigenerazione urbana. Per noi l’innovazione o è sociale o non è tale, nel senso che tutti i processi di innovazione che noi immaginiamo devono inevitabilmente leggere e risolvere dei bisogni concreti delle persone. A questo si aggancia anche la necessità di rigenerare alcuni luoghi e infrastrutture – nel nostro caso anche monumentali, ad esempio Palazzo D’Avalos -, che saranno in futuro destinati alla produzione culturale giovanile. Infine, il turismo, che per noi è lento e necessariamente di ritorno, perché siamo convinti che nel prossimo futuro sarà sempre più importante non soltanto dove si andrà, ma soprattutto come. Quindi noi lavoreremo su come essere viaggiatori: e per noi da questo punto di vista la lentezza è centrale, così come l’idea che il viaggiatore sia vissuto come un cittadino temporaneo del luogo che sta esplorando.
Sul piano degli investimenti e del supporto finanziario, a che punto siete?
Al momento, sul progetto culturale c’è un investimento pubblico della Regione Campania che si aggira intorno ai tre milioni, un milione messo a disposizione dal Ministero della Cultura e fondi del Comune, a cui si aggiunge la partecipazione della città metropolitana e, naturalmente, un fundraising che stiamo costruendo con i privati.
Peraltro, il progetto di Procida è stato riconosciuto come buona pratica nel Cultural Heritage in Action della Commissione europea, un programma di apprendimento tra pari che consente ai politici di scambiare conoscenze sul patrimonio culturale. Procida, dunque, è già un modello da esportare?
Il Mezzogiorno d’Italia nell’ultimo decennio ha fatto scuola, è stato un laboratorio sull’innovazione sociale che ha prodotto competenze specifiche di primo livello. E quindi Procida, in questo senso, prende il testimone da Matera Capitale Europea della Cultura 2019 e porta avanti questa dimensione internazionalmente riconosciuta.
Lei è stato, appunto, project manager e supervisor di Matera 2019 e ne ha già verificato gli impatti. Che cosa lascerà sul territorio di Procida l’esperienza di Procida Capitale Italiana della Cultura 2022?
Lascerà eredità materiali, vedi ad esempio luoghi dell’abbandono che, sull’isola, diventeranno luoghi di produzione culturale. Ma il progetto va oltre: al Ministero e alla Commissione che ha valutato la candidatura abbiamo presentato un vero e proprio piano di sviluppo dell’area che ha una sua governance e che prevede il potenziamento dei trasporti, della sanità, dell’interconnessione con la fascia costiera dei Campi Flegrei… Ma Procida 2022 lascerà anche eredità immateriali, che probabilmente avranno a che fare con metriche di cui ancora non disponiamo, per misurare fattori che hanno connessioni con l’attività sociale, con la possibilità che i giovani avviino imprese sul proprio territorio, con valori economici legati a economie etiche. Se lavoreremo nella giusta direzione, vivremo impatti decisamente a lungo termine.