È ora di smetterla di guardare a chi invecchia con occhi che svalutano: è cominciata la mobilitazione per abbattere resistenze e pregiudizi sull’età, i soli finora rimasti intoccati dalle rivoluzioni arcobaleno e le ondate inclusive. In prima linea di questa mobilitazione c’è una giornalista e scrittrice newyorkese, Ashton Applewhite, autrice di una visione che punta a riscrivere i canoni di una fase esistenziale fino a ora associata alla passività, alla resa, all’insignificanza. «L’invecchiamento non è un problema da risolvere. O una malattia da curare. O qualcosa di orrendo che succede andando in là con gli anni. Invecchiare è il modo in cui ci muoviamo nella vita e oggi molti di noi lo stanno facendo lungo una linea del tempo che non è stata mai tanto lunga nella storia dell’umanità», dice l’attivista, che ha settant’anni, un Ted che è stato visualizzato quasi due milioni di volte e un blog – This chair rocks – che è diventato un manifesto di rivoluzione sulla visione dell’invecchiamento che ha fatto il giro del mondo.
Stigma dell’età e sessismo
L’aspettativa di vita s’è messa a correre negli ultimi cento anni. Negli Stati Uniti, un secolo fa era di 55 anni, oggi è di 79; in Cina, negli anni Cinquanta si viveva in media 35 anni, oggi 75. In Italia la speranza di vita alla nascita per gli uomini è di 80,8 anni, 85,2 per le donne (dati Istat 2019 pre-Covid). «Ma cosa si frappone tra noi e le nostre vite, fortunatamente oggi più lunghe? L’agesimo, ovvero il giudicare, stereotipare, discriminare le persone sulla base dell’età (il termine è stato coniato dallo psichiatra Robert Butler ed è a tutti gli effetti una forma di razzismo). Così come non è amare un uomo che rende la vita di un gay difficile, ma è l’omofobia, allo stesso modo non è il passaggio del tempo che rende l’invecchiare più gravoso di quanto dovrebbe essere, è l’agesimo», spiega Applewhite. «Le donne, peraltro, incassano un colpo doppio: lo stigma dell’età e il sessismo. Sappiamo tutti, infatti, che rispetto all’invecchiamento donne e uomini vivono un doppio standard, secondo il quale con l’età gli uomini migliorano, le donne, invece, ne escono svalutate. E le donne rafforzano tale opposta percezione nel momento in cui competono per sembrare più giovani. Questo carico discriminatorio è, poi, ulteriormente aggravato dalla razza e dalla classe sociale, motivo per cui le più discriminate in tutto il mondo sono le donne anziane, povere, di colore», conclude l’attivista.
“Donne e uomini vivono un doppio standard, secondo il quale con l’età gli uomini migliorano, le donne, invece, ne escono svalutate”
Secondo Applewhite non ci si emanciperà mai dal razzismo verso l’età se, per prima cosa, non si diventerà consapevoli delle molteplici sembianze che assume questa particolare forma di discriminazione. «Non è affatto detto che chi cade in questa forma di discriminazione ne sia consapevole: il più delle volte, anzi, lo fa in buona fede, proprio perché abbiamo tutti normalizzato i pregiudizi sull’età, al punto che neanche li vediamo più». Insomma, l’ageismo colpisce forte e in modo diffuso chiunque e in modalità cangianti. Perciò l’attivista ha aperto un secondo blog, pragmatico e incisivo – Yo, Is This Ageist? – attraverso il quale chiarisce a chiunque abbia un dubbio se e quando un gesto, un’espressione verbale, un’immagine mettono in scena stereotipi e discriminazioni. L’obiettivo è smontarli, come quando scrive, rispondendo a un quesito, che le donne anziane possono tristemente ritrovarsi loro stesse campionesse di ageismo quando maledicono le proprie rughe.
Ageismo interiorizzato
«Ciò accade perché per tutta la vita siamo stati bombardati da messaggi negativi sull’invecchiamento e la maggioranza di noi non li ha mai messi in discussione. Uno dei più potenti megafoni», continua, «è esercitato dall’industria della bellezza, che guadagna milioni promuovendo l’idea che le rughe siano orrende. Non siamo nati credendo questo: lo impariamo. Gli atteggiamenti sull’età, così come sulla razza e sul genere, iniziano a formarsi nella prima infanzia. Nel corso della vita, poi, si induriscono in un insieme di verità: gli anziani non sono capaci, gli anziani sono tristi, le rughe sono brutte, è troppo vecchio per innamorarsi, ha troppi anni per quel taglio di capelli. Questo è l’ageismo interiorizzato: proviamo vergogna e imbarazzo per chi ha tanti anni, invece di essere orgogliosi del tanto tempo che ha vissuto. Ecco, più chiaramente vediamo questi stereotipi all’opera e più sarà facile immaginare narrazioni alternative, più positive e più rispettose».
“Proviamo vergogna e imbarazzo per chi ha tanti anni, invece di essere orgogliosi del tanto tempo che ha vissuto”
Applewhite ha affilato nel tempo le parole per convincere dei danni compiuti su scala sociale dall’ageismo. «Fino a quando non lo smantelleremo, l’ageismo metterà le generazioni l’una contro l’altra; priverà la società di un immensa concentrazione di conoscenza ed esperienza e avvelenerà il nostro futuro inquadrando le vite più lunghe come problemi. Sul piano personale, l’ageismo rende l’invecchiamento più difficile, danneggia il senso di sé, ci segrega, diminuisce le nostre prospettive e accorcia le vite».
La via d’uscita
Come se ne esce? Secondo Applewhite, serve anzitutto consapevolezza: il punto fondamentale è riconoscere i pregiudizi che abbiamo sull’età e sull’invecchiamento. «Fatto ciò, possiamo realizzare che i problemi personali – come essere sminuiti o essere trattati con condiscendenza – sono in realtà problemi sociali ampiamente condivisi che richiedono un’azione collettiva. Quindi, bisogna creare connessioni tra persone di tutte le età attraverso una forte collaborazione intergenerazionale. Infine, l’ageismo si combatte attraverso l’attivismo: bisogna sfidare i pregiudizi fuori e dentro di noi e creare linguaggi e modelli che, finalmente, supportino ogni fase della vita».