A rompere i soffitti di cristallo hanno cominciato gli atleti e le atlete degli sport paralimpici, scuotendoli a colpi di record e medaglie. Poi sono arrivati gli altri e le altre, donne e uomini con disabilità che hanno rivendicato il diritto di non essere per forza straordinari per essere considerati. Oggi, soprattutto grazie ai social, hanno conquistato spazi di visibilità inimmaginabili sino a qualche anno fa: sono diventati testimonial di campagne, icone dell’attivismo, fonti di ispirazione per il cinema inclusivo, persino editorialiste di magazine di punta e dai loro nuovi palcoscenici stanno cambiando la narrazione sulla disabilità, facendo la guerra agli stereotipi che inchiodano le persone alla loro disabilità, appunto, e stanno obbligando il resto del mondo a seguirli.
Loro raccontano in modo autentico la disabilità
Sta provando a fare un balzo in avanti il mondo della pubblicità, che con il progetto ShowREAL punta a spaccare gli stereotipi e a rivoluzionare la narrazione per rappresentare in maniera autentica le persone con disabilità. Su tutto, vince l’ironia. Uno dei volti della campagna, Marco Andriano, si presenta in modo esilarante: “Sono il cieco più famoso d’Italia, di altri non ne ho visti”, e fa subito centro. Anche il cinema sperimenta i rimbalzi. Per esempio, tutto sa di verità nel teen drama Prisma di Ludovico Bessegato, un percorso a tappe nelle dimensioni fluide della Generazione Zeta dove Carola, ragazza con una gamba amputata, non soffre di questo ma di un amore non ripagato.
Anche le avanguardie dei caregiver puntano a sfondare il muro degli stereotipi pietisti, prendendo le distanze da chi li santifica o li mitizza chiamandoli guerrieri, e a capovolgere la narrazione: sono le persone disabili l’opportunità di una vita per gli abili – ripetono attraverso i loro social- non il contrario! Seguire per credere l’avventura enorme di Francesco Cannadoro: ex barman, diventa caregiver a tempo pieno del suo piccolo Tommy – nato con una malattia degenerativa – , e impara la felicità folle di diventare ogni giorno suo padre.
Tocca anche a noi provarci
Poi ci siamo tutti noi, oggi imbarazzati, confusi, mica tanto capaci di trovare la misura giusta di stare dentro questioni nuove come questa, condizionati da narrazioni interiorizzate da millenni e però oggi improvvisamente consumate e insensate. E quindi? Poiché in questo spazio ci si allena a trovare le parole luminose che fanno bene alle relazioni, ecco che, rispetto alle persone con disabilità, viene subito da buttare quelle che mettiamo in campo da una vita perché o le offendono, o le commiserano, o esprimono quella cortesia affettata e artificiosamente premurosa che è spia dell’imbarazzo che proviamo. Serve ripensare le parole, il linguaggio per intero, le conversazioni, i toni.
Le parole sono l’immediata conseguenza di quello che pensiamo e allora, per cominciare, possiamo cambiare il modo in cui pensiamo le persone con disabilità. Smettiamola di porle sugli altari, perché la disabilità non deve renderli speciali a prescindere, e smettiamola anche di compatirli, perché a prescindere la disabilità non deve renderle vittime. È la loro disabilità che deve cessare di essere la chiave attraverso cui li guardiamo. Essere inclusivi non significa chiudere gli occhi davanti agli svantaggi, ma considerarli appena una parte di quell’intero, originale e unico, che costituisce le persone, tutte.