«Quando qualcosa è ronzato nelle mie tasche in un pomeriggio d’autunno del 2017, qualcuno mi stava chiamando. Ho salito le scale fino al tetto del nostro edificio per uffici di New York e mi sono ritrovato in una frizzante e soleggiata giornata autunnale. I miei occhi erano fissi sul blu sopra di noi mentre sentivo una voce, un rappresentante del dipartimento Rischi dell’investitore per i finanziamenti di serie A delle nostre società: “Abbiamo esaminato questo accordo internamente e abbiamo deciso che non lo faremo”… Tre giorni prima avevo perso il contratto di dieci milioni di dollari della nostra azienda – insieme al futuro della nostra attività, cinque anni di sudore, determinazione, attività frenetiche e la mia “fucking mind”. In banca avevamo cash a sufficienza per sopravvivere per 3 settimane ancora… Quante volte dobbiamo essere colpiti prima di cadere?». Inizia così “The Underdog Founder“, il libro di Edrizio De La Cruz, che racconta una storia di resilienza quasi impossibile da immaginare. La sua. Quella di un giovane nato in un barrio della Repubblica Dominicana alle prese con la vendita di guaiava, frutto tipico dell’America Latina fino alla fondazione della sua startup, Arcus, nella Silicon Valley. Arcus è stata riconosciuta da Forbes come una delle startup di maggior successo del 2021 e successivamente è stata venduta a Mastercard. Ex partner di Y Combinator, il principale acceleratore e investitore di startup al mondo, con la sua Arcus, Edrizio ha dato la possibilità a milioni persone dell’America Latina di accedere a una serie di servizi finanziari digitali. Con questa storia, StartupItalia dà il via a una serie di racconti sul tema del riscatto, quello che in inglese viene definito “underdog“, e che anche in Italia sta diventando un argomento sempre più popolare. Dalle periferie ai palazzi di cristallo, storie di persone comuni che hanno saputo mettersi in gioco e, con tanto coraggio e forza di volontà, aprirsi nuove strade verso un futuro che hanno sempre pensato possibile. Perché i veri sognatori non smettono mai di crederci.
Leggi anche: Da Londra ad Amsterdam, storia di un’amicizia (e di una startup). «La nostra impresa? È nata in aeroporto»
Edrizio, quali sono i temi che affronti nel tuo libro?
“The Underdog Founder” è una guida pratica e ispiratrice per trasformare gli ostacoli in opportunità e rendere reale la vita che hai sognato, contro ogni previsione. Il concetto principale ruota attorno a come pensare diversamente se stessi. Spesso ci si sente vittime di un sistema, soprattutto questo avviene nelle nuove generazioni, ma quello che io ho passato quando ero ragazzino mi ha portato a pensare che la mia vita sarebbe potuta cambiare.
Quale è stato il momento in cui hai pensato che un futuro diverso per te sarebbe stato possibile?
Sono cresciuto a Santo Domingo, per le strade, la mia famiglia non aveva soldi per mangiare, mio padre viveva a New York e a un certo punto mi sono trasferito negli U.S.A. Avevo 12 anni ed è stato molto difficile adattarmi a una nuova cultura e una nuova lingua, questa situazione mi ha molto aiutato a crescere e a maturare. Ho studiato aviazione alla scuola superiore. La vivevo come un modo per scappare, letteralmente “volare”, e sono diventato pilota di aerei però solo per un anno, dopo di che mi sono dovuto cercare altro per aiutare la mia famiglia e ho iniziato a lavorare come meccanico di aerei. L’ho fatto per sei anni poi ho deciso che quella non era la strada giusta per me.
Poi che cosa è successo?
Mi aveva sempre affascinato l’ambito della finanza e iniziai a studiarla. Sebbene lavorare sugli aerei per me rappresentasse una fuga fisica, lo studio di questa materia era, invece, un modo per scappare da una situazione socio-economica che mi affliggeva. Ho iniziato a lavorare in questo ambito per due anni, Wall Street mi ha affascinato. Ho incontrato molti ostacoli in questo percorso ma non mi importava. Ho sempre pensato che la miglior maniera per imparare a nuotare sia lanciarsi in piscina.
Quando hai iniziato a pensare alla tua idea di startup?
Durante lo studio alla Business School stavo provando a mettere in piedi un’azienda che tramite un credito virtuale avesse potuto aiutare le persone a pagare l’elettricità, le bollette, cose basiche in modo semplice. Era il 2013 e negli anni a venire cambiammo il business model perché non stava funzionando, ma non importava. Da cosa nasce cosa. Nel 2017 nacque Arcus, che poi abbiamo venduto a Mastercard, con l’idea che chiunque avrebbe potuto accedere a una serie di servizi digitali. Credo che nel mio percorso da imprenditore sia stata proprio la condizione che ho vissuto da bambino ad avermi spronato a fare sempre meglio.
Ti saresti mai immaginato di arrivare dove sei arrivato?
Devo dire che sono sempre stato un tipo ambizioso e l’idea ce l’avevo ma, come la maggior parte di queste, inizialmente falliscono. È una battaglia continua, una guerra. Penso che la chiave del successo sia stata l’attitudine, la capacità di guardare le cose da un altro punto di vista. La strada non è mai facile, e a volte credi che non sia quella giusta però tu puoi fare qualcosa: sentirti una vittima, che non è sbagliato ma deve essere una situazione transitoria, poi devi pensare cosa poter fare per andare avanti. Mettercela tutta, applicare, imparare, questa credo che sia la giusta forma mentis da adottare per raggiungere i traguardi.
Che consigli daresti agli startupper di oggi?
Prendersi il rischio. Se pensi che ci sia sempre un’opzione per tornare indietro avrai sempre questa nella testa ma non deve essere così. Indietro non c’è niente, c’è da andare avanti. Credo che le migliori idee arrivino dai problemi che ci si trova ad affrontare nella vita. Adesso voglio trasmettere questi messaggi a tutti, il libro è uno strumento che voglio che sia d’aiuto e d’ispirazione per tutti coloro che pensano che la strada sia sempre più difficile. Se ce l’ho fatta io possono farcela tutti. Tutti possono essere i prossimi Elon Musk.