Il romanticismo non manca al videogame della piccola startup innovativa Unexpected
Di giochi strani il mercato Indie ne offre parecchi. Ed è questo il bello, in fondo, di questa nicchia che si è espansa a dismisura: poter toccare temi, ideare gameplay e progettare mondi difficilmente comprensibili ai quali il mercato dei tripla A non si arrischierebbe mai ad avvicinarsi, visti i capitali in gioco. Di tutti i titoli assurdi che abbiamo provato, però, As Far As The Eye merita di essere annoverato in cima. Scopriamo perché.
As Far As The Eye, ovvero A FATE
Anzitutto, non capita spesso che un titolo nasconda un messaggio segreto. Se prestate attenzione a com’è stato scritto As Far As The Eye non tarderete a mettere assieme i tasselli: ogni parola inizia con una lettera maiuscola e ogni maiuscola, collegata alla successiva, svela altre due parole: A FATE. Il romanticismo del resto non manca al videogame della piccola startup innovativa Unexpected che, per questa avventura prodotta dalla francese Goblinz Studio, mette in scena un mondo a dir poco trasognato.
Semplicemente folle l’ambientazione: vivrete infatti in prossimità di un occhio e il vostro compito, impersonando il vento, sarà quello di guidarvi una tribù di… pupille. Avete capito bene, questi gli elementi narrativi alla base di As Far As The Eye che, come vi avevamo preannunciato, sembra esser stato ideato una sera passata in compagnia di amici con qualche birra di troppo.
Grattata la sinossi, As Far As The Eye si fa un po’ più classicheggiante, o quasi, rivelandosi un GdR – city builder a turni in cui dovrete guidare alla salvezza una tribù errante prima del fatidico quattrocentocinquantaseiesimo battito di ciglia, che segna il momento in cui inizieranno a riversarsi le lacrime sul campo di gioco, travolgendo qualunque cosa, inclusi i piccolissimi esseri che vi seguiranno fedelmente. Il viaggio della tribù delle Pupille, che si spostano stancamente in carovana, come i coloni del Far West, sarà lungo e accidentato. Ogni tappa richiederà lo sviluppo di campeggi e piccoli insediamenti urbani, necessari per non morire di fame e di stenti lungo il cammino.
Di fatto, il gameplay poggia su due azioni da ripetere pressoché all’infinito: crafting e farming. Crafting chiama altro crafting e farming altro farming. Questo perché ogni azione richiede energie, le energie richiedono il cibo e il cibo richiede crafting e farming. Tutto richiede un certo quantitativo di turni, che andranno investiti tra esplorazione, scambi commerciali con altre tribù, raccolta di materie prime e produzione di beni e, soprattutto, di cibi. Specializzare i componenti della propria tribù sarà essenziale per diversificare le azioni e ridurre il rischio che le giornate terminino avendo combinato assai poco.
La ripetitività fa da architrave portante, eppure non si avverte mai come un fastidio. Anzi, in un gioco in cui la propria tribù può essere decimata al minimo errore, costituisce una delle poche, comode, accoglienti, certezze. Due invece i limiti di As Far As The Eye: il primo è appunto il fatto che il gioco sia un po’ troppo spietato e il tutorial striminzito, che potrebbe scoraggiare i più, come potrebbe farlo pure l’assenza di una localizzazione in italiano. A lato annoveriamo anche il fatto che le scritte siano piccolissime ma numerose, che non rende As Far As The Eye il gioco migliore da provare in mobilità, qualora decideste di acquistarlo su Nintendo Switch. Al netto di queste sbavature, però, è un RPG – city builder a dir poco ipnotico e onirico, grazie alla veste grafica e alle musiche di Alexis Laugier. Lasciatevi perciò trasportare dal vento e intraprendete questa folle ma romantica avventura.