Una lunga inchiesta di Vox mette sotto la lente i finanziamenti dei colossi del settore che avrebbero influenzato la ricerca scientifica. Spingendo il consumo di cacao
Il cioccolato fa bene o fa male? Vox ha condotto una lunga e approfondita inchiesta sull’argomento mettendo sotto la lente l’impegno economico di alcuni grandi marchi del settore. Un impegno, secondo la tesi del lungo articolo, teso a orientare le ricerche scientifiche e dunque, nel corso degli anni, a modificare la percezione pubblica del cioccolato e dei prodotti che lo contengono. Spingendo al consumo.
L’impegno di Big Chocolate
I principali produttori di cioccolato al mondo avrebbero speso milioni di dollari per sostenere, e in qualche modo pilotare, le indagini sull’argomento. Vox li chiama addirittura Big Chocolate, ricalcando le etichette che negli Stati Uniti vengono assegnate alle lobby di potenti settori come il tabacco (Big Tobacco) o i medicinali (Big Pharma).
Non che il finanziamento delle aziende, anche colossi, nella scienza della nutrizione sia una novità. Si tratta anzi di uno degli aspetti più scivolosi del rapporto fra ricerca e industria. Tuttavia quello di Big Chocolate è un caso emblematico, spiega il magazine, perché dimostra come “alcune delle più grandi menti accademiche” e l’agenda scientifica possano essere orchestrate dagli interessi commerciali per produrre lavori che sostengano le proprie tesi. E non necessariamente la salute pubblica.
Le indagini
Nello specifico, Vox ha esaminato cento studi sostenuti finanziariamente da Big Chocolate. Secondo Vox quelle indagini “sponsorizzate” avrebbero condotto a scoperte puntualmente “brillanti” sul cacao e sul cioccolato. Assegnando a questi prodotti effetti di ogni genere, dai benefici per la salute cardiocircolatoria a quelli, legati al cacao, per sconfiggere e prevenire alcune patologie specifiche. Indagini i cui risultati “accompagnati dal rilancio dei media che hanno inevitabilmente guadagnato, hanno condotto a un chiaro cambiamento della percezione di questi prodotti nel pubblico”.
L’indagine di Vox sottolinea anche come, troppo spesso, risultati marginali o di scarsa rilevanza vengano raccontati dalla stampa in modo incompleto o semplicistico, evidenziandone i lati positivi per gli amanti della cioccolata (una gran bella fetta dei consumatori) ed evitando di fornire il giusto contesto ai dati.
La strategia: da rischio a superfood
In pratica, si è trattato di una precisa strategia per “trasformare l’immagine dei loro prodotti da un rischio per la salute a un beneficio” spiega Marion Nestle, che non ha alcun rapporto con la multinazionale ma è (nomen omen) una nutrizionista della New York University. Così, scortati da quest’aura, anche le vendite sono cresciute negli anni. Negli Stati Uniti, in particolare, da 14,2 miliardi nel 2007 a 18,9 nel 2017 secondo Euromonitor. Il tutto mentre, al contrario, la vendita di dolciumi nel complesso scendeva.
Le ricerche finanziate da Big Chocolate hanno “catapultato il cioccolato fondente nel regno dei supercibi insieme a vino rosso, mirtilli e avocadi”. Il punto è che i molti e presunti benefici del cacao sul lungo termine non sono mai stati provati. “E quando accompagnato da una ricca dose di grassi e zuccheri, ogni possibile minimo beneficio viene rapidamente neutralizzato”. In particolare dagli anni ’80 in avanti Big Chocolate ha finanziato oltre 140 studi peer-reviewed. Senza contare seminari, incontri, cattedre sponsorizzate nelle università. Molti di questi ruotano intorno al ruolo dei flavonoidi, micronutrienti presenti nei vegetali e nella frutta – anche nel cacao – con proprietà antiossidanti.
La “publication bias”
Pressione, performance cognitive, disfunzioni del sistema immunitario: si trova di tutto, in quei cento studi. Il 98% dei quali parla positivamente del cacao. Solo il 2 per cento elenca esiti negativi o almeno neutrali. La tesi conclusiva è che finanziando la ricerca in una sola direzione e concentrandola su un ristretto numero di domande, si possa creare ciò che esperti chiamano publication bias. Insomma, che si possano indirizzare i risultati nelle direzioni gradite. Questa la tesi, sempre riportata da Vox, di Richard Bazinet, nutrizionista e ricercatore all’università di Toronto.
I dubbi scientifici
La realtà, legata alla revisione di molte indagini sull’effetto dei flavonoidi sulla pressione sanguigna, è che i prodotti che ne sono ricchi producono un piccolo beneficio in termini di abbassamento della pressione (2mmHg), soprattutto negli adulti sani e nel breve periodo. Non è stato tuttavia mai provato che questi trascurabile effetto produrne di ulteriori su infarti o altre patologie cardiocircolatorie. Gli studi che si basano sull’osservazione possono solo mostrare correlazioni fra i due fenomeni ma non certo che mangiare cioccolato produca un miglioramento delle condizioni del cuore.
Non è escluso che chi mangia molto cioccolato e sfoggia brillanti risultati in quel genere di patologie abbia altri tipi di caratteristiche fisiche che lo proteggono. Senza contare che buona parte del corredo nutritivo “può andare distrutto o perso nel corso della lavorazione” dalla fava del cacao alla barretta fatta e finita sugli scaffali di un supermercato.
Obesità (provocata dagli zuccheri aggiunti di cui i prodotti contenenti cioccolato sono ricchi) e sfruttamento del lavoro minorile e di condizioni in generale poco rispettose dei diritti sono dunque alcune delle cause – così, almeno, la vede Michael Coe, storico del cioccolato della Yale University e coautore del libro The True History of Chocolate – che hanno spinto negli ultimi trent’anni Big Chocolate a colonizzare la ricerca scientifica.