Una madre che lo spinge a giocare coi “giochini elettronici” perché sono meglio del pallone, un brutto incidente e una promessa. Nella nuova puntata di “Viaggio in Italia” la storia di Luigi Simonetti, imprenditore che ha riportato in vita lo storico logo: «Non è un’operazione nostalgia, guardiamo al futuro»
Certi amori non finiscono fanno dei giri immensi e poi ritornano, cantava Venditti qualche anno fa: strofe che ben descrivono la storia che vi raccontiamo oggi per la nuova puntata di Viaggio in Italia. Una storia che ci porta a Roma per conoscere Luigi Simonetti, ingegnere quarantasettenne. La sua è letteralmente una vita spesa per il Commodore, apparecchio che forse oggi ricordano in pochi: è stato antesignano dei PC moderni, ma soprattutto la prima finestra spalancata sul futuro per milioni di ragazzini in tutto il globo. Il fondatore dell’azienda statunitense, Jack Tramiel, del resto, era solito ripetere: “Computers for the masses, not the classes”, cioè i computer sono per le masse, non per le classi. E infatti il Commodore arrivò in tantissime case in tutto il mondo, se si pensa che solo il modello C64 piazzò qualcosa come 30 milioni di esemplari, finendo persino nel guinness dei primati.
Ma torniamo alla nostra storia, tutta italiana. Come capita spesso quando si parla di incontri fortunati, pure Luigi, detto amorevolmente «Gigi nerd» in famiglia, si è imbattuto nel Commodore casualmente: «Avevo sette anni», racconta a StartupItalia, «e mamma e papà mi regalarono il Commodore PET (sigla per Personal Electronic Transactor ndR) comprato facendo un bel po’ di sacrifici. All’epoca non sapevo nemmeno cosa fosse: lo guardai e dissi che avrei preferito un pallone, ma mia mamma fu profetica: accendilo e capirai che lì c’è il futuro».
Il primo grande amore
E fu così, perché all’accensione era già scoccata la scintilla. «Pigiando i tasti sulla tastiera capii la magia e mi sentii un agente segreto che poteva scoprire qualsiasi cosa semplicemente scrivendo codici». Una passione che negli anni porta Luigi a smanettare sempre più con il mondo dell’informatica e a collezionare qualcosa come centosettanta computer: «La mia era una famiglia molto modesta, comprarli per i miei non fu affatto facile», ricorda commuovendosi. Poi la vita prende di colpo una brutta piega, un incidente importante gli fa perdere la vista: «L’ultima cosa che vidi fu il Commodore», ricorda amaramente Luigi.
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L’incidente
Non tutto però è perduto: «Restai praticamente cieco per 26 mesi, dopodiché un luminare riuscì a farmi recuperare in parte la vista almeno da un occhio: la prima cosa che vidi fu nuovamente il Commodore. E lì mia mamma mi disse: a questi punti se non ne diventi il presidente, ti ammazzo io»!
“L’ultima cosa che vidi fu il Commodore”
Ma anche per il Commodore il periodo non è affatto facile: il mondo nel frattempo è cambiato e la concorrenza delle console e dei PC di Windows si è fatta insostenibile: nell’aprile del 1994 la società che assieme a pochi altri marchi ha rivoluzionato il mondo hi-tech e il modo di videogiocare porta i libri in tribunale e dichiara bancarotta.
La promessa
La madre di Luigi, però, non dimentica la promessa che il figlio le aveva fatto riacquistando la vista: «Si era ammalata ed era stata ricoverata: nelle sue ultime ore mi ripeté che se non fossi diventato il capo di Commodore mi avrebbe ucciso». Il giorno dopo Luigi inizia la trafila per capire come recuperare il marchio statunitense: «È stato difficilissimo: negli anni non sono mancati imprenditori e truffatori che si sono appropriati di loghi, grafiche ed asset senza averne il titolo». Ad aiutarlo l’amico di una vita, Stefano Cianfanelli, oggi Chief Information Officer della rinata Commodore italiana.
La nascita del Commodore italiano
È un ginepraio legale, per di più con risvolti internazionali. Ma alla fine, nel 2015, nasce la Commodore Industries Srl, oggi una PMI innovativa con un centinaio di dipendenti e due sedi, una a Roma e l’altra a Londra. Il nostro Paese, si sa, non vanta più marchi di peso nel settore dei computer da tanto, troppo tempo. Bisogna infatti salire di diverse centinaia di chilometri verso Nord Ovest fino ad arrivare a Ivrea e risalire agli anni della Olivetti per riagguantare il periodo in cui abbiamo avuto un peso specifico nel comparto. È dunque emozionante pensare che un marchio statunitense che ha dato tanto all’industria oggi sia tricolore. E non per mero sciovinismo: chi ne ha vissuto i fasti voleva rivederla da tempo in azione. La rinata Commodore, tutta italiana, è attualmente impegnata nello sviluppo di prodotti destinati al mercato ‘consumer electronics’ come auricolari wireless, una serie di laptop e workstation pensate sia per il gaming sia per chi i giochi li vuole sviluppare partendo da zero.
La realtà su cui oggi campeggia la scritta Commodore non è solo impegnata nel tentativo di riportare il brand ai fasti di un tempo attraverso lo sviluppo di dispositivi informatici ad alte prestazioni: infatti, la divisione dedicata allo sviluppo di soluzioni ITC destinate al mercato B2B, soprannominata Commodore Engineering, si occupa di fornire supporto alle grandi aziende e organizzazioni complesse attraverso prodotti realizzati ad hoc per venire incontro alle specifiche esigenze professionali. Si va dagli strumenti per la formazione a 360°, con il software GEL, ai CRM e ERP a supporto della produttività con il software Prjsma, passando per una serie di altri servizi tailor-made come lo sviluppo di CSM e applicazioni WEB a APP. Tra i clienti Enel, Allianz, Trenitalia, Terna, Unicredit e TIM, solo per citarne alcuni.
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Ma per molti il marchio Commodore è soprattutto sinonimo di videogame. All’epoca la magia si sostanziava per mezzo di un pugno di pixel colorati e malamente animati, oggi invece i gamer si sono fatti molto più esigenti e pretendono grafiche fotorealistiche. Ne sanno qualcosa i ragazzi della unit Commodore Synapsy che raccoglie 14 persone ed è al lavoro su un paio di titoli «di questi uno potrebbe essere un doppia A» rivela Luigi che, a proposito di confidenze, svela in esclusiva ai lettori di StartupItalia chi sarà l’eroe del loro primissimo videogame in arrivo nel 2024: «Grisù il draghetto, tratto dalla serie di cartoni animati italiana ideata dai fratelli Nino e Toni Pagot nel 1964: «Abbiamo scelto quel personaggio perché siamo convinti che sia portatore di valori che dovremmo recuperare. Nei nostri giochi non metteremo mai un umano contro un altro, vogliamo spingere i giocatori a comprendere l’importanza di sapere fare squadra. Io devo tutto alla mia famiglia e al mio team e l’importanza della collaborazione deve essere tramandata ai più giovani». Quale modo migliore se non attraverso i videogiochi?