Si è appena conclusa la prima stagione di The Last of Us, la nuova serie televisiva targata HBO che ha riscosso grande successo di pubblico e critica. Ma quali sono le ragioni? E perché tante pellicole tratte dai videogame hanno fallito?
Su StartupItalia sale a bordo Fabrizia Malgieri, appassionata videogiocatrice seriale, divoratrice di cinema e serie TV, geek nonché una delle più note esperte italiane di gaming. Per nove anni ha diretto GameReactor Italia, network presente in 12 Paesi dedicato ai videogiochi. Attualmente in Università Iulm segue un progetto sulla rappresentanza e rappresentazione femminile nei videogiochi.
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Alla fine, anche la televisione si è innamorata dei videogiochi. Da pochi giorni si è conclusa la prima stagione di The Last of Us, la nuova serie televisiva firmata HBO ispirata al popolare titolo di Naughty Dog e pubblicato sulle console PlayStation nel 2013, che, solo negli Stati Uniti, ha conquistato milioni di telespettatori. Numeri, secondo Variety, che hanno assistito ad una crescita significativa nel corso dell’intera season pari al 75%, in cui si è passati dai 4,7 milioni di spettatori del primo episodio agli 8,2 milioni di spettatori nel finale di stagione – quest’ultimo andato in onda in concomitanza con la notte degli Oscar, tra le altre cose.
Eppure, non c’è da stupirsi se anche il piccolo schermo si sia finalmente accorto del grande potenziale sotteso al medium videoludico. Solo in Italia, ad esempio, il mercato dei videogiochi ha potuto contare su un giro d’affari di 2 miliardi e 243 milioni di euro nel 2021, in crescita del 2,9% rispetto alla precedente rilevazione condotta dall’associazione di categoria IIDEA tramite l’osservatorio permanente sul settore promosso dalla federazione europea dell’industria dei videogiochi ISFE (Interactive Software Federation of Europe). In logica internazionale, secondo i dati forniti da Statista, la sola industria videoludica globale vale oltre 178 miliardi di dollari nel 2021, rendendola di fatto concorrenziale ad altri grandi settori dell’intrattenimento – fino a poco tempo fa intoccabili – quali il cinema e la televisione. In altre parole, le basi su cui appoggiano determinate scommesse di adattamento, da videogioco a medium altro, sono piuttosto solide da molteplici punti di vista; eppure, non è sempre andata così.
Film e vg: amore a senso unico
Se è vero che il gioco digitale è stato quasi da subito oggetto delle attenzioni di altri media (primo tra tutti, il cinema), l’adattamento di un videogioco in un film non ha quasi mai prodotto i risultati sperati. Si pensi ad una pellicola – successivamente diventata un cult, ma per le ragioni sbagliate – quale Super Mario Bros.- Il Film (1993). L’opera – diretta da Rocky Morton e Annabel Jankel – è una reinterpretazione in chiave cyberpunk dell’iconico personaggio Nintendo e che, pur contando su attori del calibro di Bob Hoskins e Dennis Hopper (rispettivamente Mario e il suo acerrimo nemico Bowser), è diventata presto oggetto di scherno da parte di pubblico e critica.
Dal caso di Super Mario Bros. – Il Film in poi, sembra che la settima arte sia stata colta da una sorta di maledizione quando si trattava di portare sul grande schermo un videogioco. Ad eccezione della saga di Tomb Raider, che deve principalmente la sua fortuna al coinvolgimento di Angelina Jolie, il connubio cinema e videogioco difficilmente ha dato vita a storie di successo. Resident Evil, Assassin’s Creed, Monster Hunter, World of Warcraft, Prince of Persia – Le Sabbie del tempo e non ultimo Uncharted, sono tutti esperimenti di trasposizione dallo schermo digitale a quello cinematografico che hanno provato a tradurre storie affascinanti e coinvolgenti, ma con enormi difficoltà. Molto spesso i motivi dietro il loro insuccesso, non necessariamente commerciale, risiedono nella scelta autoriale di allontanarsi eccessivamente dal materiale originale, generando delusione negli spettatori – che, molto spesso, sono gli stessi giocatori. Restare fedeli al videogioco e, soprattutto, alle sue logiche (narrative, meccaniche, etc.) è una delle maggiori difficoltà riscontrate dal cinema: come è possibile riuscire a comprimere in un prodotto di non più di 120-180 minuti quella che è l’esperienza espansa offerta da un titolo digitale?
Vg e serie tv: ragioni del successo
Ci sono diverse ragioni dietro questo inequivocabile fallimento, e questo risiede principalmente nella natura stessa del videogioco e, in buona parte, nel formato stesso del cinema. Dagli inizi degli anni Duemila, ha preso piede nelle accademie un filone di studi sempre più vivace e operoso, qual è quello dei game studies. Come qualsiasi disciplina “nuova”, anche quella relativa ai videogiochi ha dovuto inevitabilmente confrontarsi con settori di ricerca già operativi da anni, questo anche per legittimarne l’oggetto di studio. Tra i diversi orientamenti su cui numerosi ricercatori si sono concentrati e lavorano tuttora, c’è, ad esempio, quello volto ad analizzare la struttura intrinseca stessa del medium videoludico, che è di fatto seriale.
Tra i primi a dare forma concreta a questo approccio sono gli studiosi Shane Denson e Andreas Jahn-Sudmann che in Digital Seriality: On the Serial Aestethics and Practice of Digital Game (2013) decretano – e qui, siamo costretti alla semplificazione – che la serialità sia una qualità intrinseca del mezzo videoludico, in cui ogni sessione di gioco può essere equiparata ad un episodio della season videoludica del giocatore. Proprio come le serie televisive, il videogioco si fonda su due elementi basilari: la reiterazione e l’innovazione. Prendiamo, ad esempio, una classica partita al vecchio Super Mario Bros. (1985) o, andando più indietro, a Space Invaders (1978). La reiterazione è data dal fatto che, per raggiungere il nostro obiettivo, continuiamo a ripetere le stesse medesime azioni (salta, spara, colpisci) per tutto il gioco, a cui si aggiunge l’elemento dell’innovazione. Di fatti, per stimolare l’utente a continuare a giocare e non rendere l’esperienza troppo ripetitiva, nel momento in cui inizia a prendere dimestichezza con i comandi-base, ne vengono introdotti di nuovi (nuove armi, nuovi strumenti, nuove skill, etc.).
Oltre a questi elementi che sono comuni anche alle serie TV (la reiterazione è data, ad esempio, dal ritorno degli stessi personaggi, mentre l’innovazione da nuove storie che li coinvolgono), l’altro aspetto che potrebbe spiegare una maggiore semplicità nell’adattamento da videogioco a prodotto di serialità televisiva rispetto a videogioco a film è data anche dal formato stesso del contenuto per la TV. È proprio il formato episodico della serie televisiva a garantirne il successo perché offre la possibilità di espandere la lore del gioco stesso, di esplorare più a fondo aspetti come la psicologia dei personaggi, così come le dinamiche narrative e relazionali degli stessi. In altre parole, si resta fedeli e coerenti con il materiale originale, ma al tempo stesso lo si arricchisce.
In The Last of Us questo è stato possibile anche perché lo stesso co-creatore del videogioco, Neil Druckmann, ha partecipato in modo attivo alla stesura dello script, firmandolo a quattro mani con lo showrunner Craig Mazin. Inoltre, la presenza dell’autore originale ha in qualche modo legittimato anche alcune scelte narrative differenti rispetto al gioco originale (si pensi all’episodio 3 Long, long time o, più in generale, al destino di alcuni personaggi rispetto al titolo). Tuttavia, The Last of Us non è un caso unico. Ad esempio, esistono casi altrettanto importanti che, in qualche modo, corroborano questa tesi: si pensi a Arcane (2021-in corso) Castlevania (2017-2021), Cuphead (2022) o Cyberpunk: Edgerunners (2022), tutti titoli che hanno attinto voracemente dalla lore dei rispettivi giochi, espandendoli, ma mai compromettendoli o snaturandoli.
Il ritorno di Super Mario al cinema
Se è vero che la serialità televisiva si conferma una delle forme più efficaci per tradurre i videogiochi, il cinema ha provato nel tempo a ristabilire un contatto con il medium videoludico, talvolta anche con risultati sorprendenti al box office.
Tra questi, ad esempio, ci sono Pokémon: Detective Pikachu (2019) e i due film di Sonic (2020, 2022), che hanno a loro modo spezzato la maledizione che vedeva fallimentare la relazione tra cinema e videogioco.
Probabilmente, la scelta di optare per la tecnica mista e di lavorare in modo autentico sui personaggi principali e sulle loro caratteristiche, anche attraverso storie più orientata alle famiglie, ha giocato a loro favore – ma in quel caso, risulta difficile parlare di vero e proprio adattamento, quanto piuttosto di una reinterpretazione con obiettivi (anche di pubblico) molto diversi.
Sarà interessante scoprire cosa accadrà con l’imminente Super Mario – Il film in uscita il prossimo 5 aprile, soprattutto dopo la riluttanza trentennale di Nintendo ad affidare la sua prestigiosa proprietà intellettuale al mondo del cinema, proprio a causa del film di Super Mario degli anni Novanta. Anche in questo caso, ci si è affidati ad un film d’animazione – in produzione, oltre a Nintendo e Universal Pictures, ci sono anche Illumination Entertainment (lo studio dei Minions, per intenderci) – e con un approccio più family-oriented. Riuscirà il mitico idraulico italiano ad aggiustare le proverbiali perdite di quei film tratti dai videogiochi che, nel corso degli anni, hanno fatto acqua da tutte le parti?