Lasagne della tradizione, insalate di quinoa, zuppe di legumi: il cibo degli astronauti (sulla stazione ISS) è made in Italy e arriva da Torino. E a studiarlo è lo chef Stefano Polato. Ecco come lo prepara
La domanda è quella che un po’ tutti si sono fatti da bambini, immaginandosi astronauti: cosa si mangia nello spazio? Chi l’ha seguita nella sua missione sulla ISS, sa che Samantha Cristoforetti ha mostrato in molte occasioni la sua dieta a base di piatti studiati per garantire il fabbisogno nutrizionale in condizioni di microgravità: zuppe di legumi e barrette di frutta e cereali. L’astronauta ha ringraziato spesso anche un suo connazionale, lo chef Stefano Polato: è lui infatti che coordinando un team di nutrizionisti e tecnologi alimentari nei laboratori Space Food Lab di Torino dal 2012 crea il cibo che gli astronauti mangiano nello spazio.
L’azienda italiana Argotec si occupa principalmente di servizi d’ingegneria e software, ma è anche stata scelta dall’European Space Agency per la fornitura del cibo “bonus” per gli astronauti europei a bordo della stazione orbitante ISS. Con questo nome sono indicate tutte quelle pietanze particolari che sono fuori dalle provviste di base della Nasa e dell’agenzia spaziale russa. In passato Argotec è stata responsabile della dieta di Luca Parmitano nella missione Volare, e di Alexander Gerst nella missione Blue Dot. Per Samantha Cristoforetti l’impegno ha però acquisito tutt’altro significato, in quanto l’astronauta italiana si è dichiarata fin da subito ambasciatrice di una buona alimentazione in ogni situazione e (stavolta è il caso di dirlo) oltre ogni confine.
Ready to lunch
La linea “Ready to lunch” (da poco disponibile anche sulla terra ferma) comprende due tipologie di prodotto: i pasti già pronti da scaldare, che vanno a sopperire alla difficili condizioni di cucina a gravità 0 e contengono il giusto mix di elementi nutritivi per la vita lavorativa degli astronauti, e gli ingredienti da combinare per creare le proprie ricette nello spazio (cooking on orbit). Quando si parla di alimentazione in assenza di peso sono infatti molte le difficoltà a cui far fronte: la dispersione dei liquidi, per esempio, a cui si fronteggia con dispenser col contagocce, o quella delle briciole, che potrebbero sfuggire e andare a compromettere le tecnologie di bordo (memorabile il caso di John Young, che riuscì a portare con se’ in orbita un sandwich, e fu fortemente redarguito dalla Nasa): a tal proposito sale e pepe vengono dispensati in soluzioni liquide oleose o acquose, mentre pane e cracker sono sostituiti da tortillas.
Com’è fatto il cibo dello spazio?
Le speciali preparazioni fatte a terra da Argotec servono per prevenire le difficoltà in orbita, e non aggiungono nessun colorante o additivo chimico: il processo di liofilizzazione, per esempio, fa passare il cibo da una temperatura di -40°/30 per congelare le particelle acquose a una di oltre 30°, per la conservazione sottovuoto. In questo sbalzo i cristalli di ghiaccio formati dal liquido degli alimenti sublimano in vapore, portando con se’ la carica microbica. Per consumarli a bordo è necessario aggiungere di nuovo acqua, o brodo: a questo pensa la nuova macchina ISSpresso, creata sempre da Argotec per fornire agli astronauti il caffè originale in capsule in condizioni di microgravità, in grado anche di preparare altre bevande calde come tisane e, appunto, brodo.
Termostabilizzazione
L’evoluzione però procede in direzione della termostabilizzazione: con questo processo il cibo viene sterilizzato in speciali sacchetti formati da 4 strati, dove non entra né luce né aria per evitare ossidazioni. Questi vengono poi trattati per un determinato tempo -a seconda dell’alimento- a una certa temperatura per abbatterne la carica microbica. Il risultato di queste operazioni sono pasti variegati, che vanno dall’insalata di quinoa con sgombro e verdure alla zuppa di legumi dei presidi slow food, dalle barrette biologiche con goji, cioccolato e alga spirulina agli smoothie di frutta: la premura dello chef Polato è prorio quella di offrire un panorama di piatti più vario possibile. Per gli astronauti lontani da casa per periodi lunghi come sei mesi, il cibo “bonus” diventa anche uno stimolo psicologico e un forte contributo nello sconfiggere la nostalgia: le lasagne e il risotto al pesto richiesti da Luca Parmitano ne sono un esempio.
Cosa mangiavano i primi astronauti?
Rispetto ai primi viaggiatori dello spazio l’evoluzione è stata incredibile: Jurij Gagarin, primo a compiere un’orbita completa intorno alla terra si dovette accontentare di tre tubetti di cibo molto simili a quelli del dentifricio, contenenti purea di carne e cioccolato. Era il 1961, e il suo fu comunque un pasto importantissimo: dimostrò che era possibile nutrirsi anche a gravità zero. Già nel 1966 la Nasa sostituiva i tubetti con confezioni in polietilene, dando via al programma Hazard Analysis Critical Control Poing (HACCP) che tutt’ora rimane prassi comune per la sicurezza alimentare in tutto il mondo. La necessità durante il programma Shuttle (1981-2011) di creare navette leggere, portò all’eliminazione di frigoriferi e congelatori a bordo: nascono qui i cibi a lunga conservazione (fino a 24 mesi) utilizzati al giorno d’oggi sulla ISS, anch’essa sprovvista di frigoriferi. Il cibo arriva alla stazione a bordo di alcuni cargo automatici, sigillato in appositi contenitori. Viene quindi disposto in varie zone dell’ISS, in attesa di essere consumato. Nel Nodo1 “Harmony” c’è quello correntemente “in uso”: una sorta di grande dispensa. Il bonus food degli astronauti è contenuto in nove borse personali aggiuntive: insieme agli arrivi di frutta fresca e verdura in occasione dei rifornimenti è la “marcia in più” che consente ai viaggiatori dello spazio di sopperire alla mancanza di casa, e funziona spesso come sostentamento nelle pause: i classici snack tra i tre pasti principali (a bordo della stazione che orbita intorno alla Terra si vedono 16 albe e tramonti al giorno, ma i cicli di sonno e alimentazione sono gli stessi del nostro pianeta, fissati sul meridiano di Greenwich).
Ma gli astronauti ingrassano?
Esagerando col bonus food è possibile ingrassare? Difficile tenere d’occhio l’ago della bilancia, a gravità zero, ma è un fenomeno naturale la perdita di massa muscolare, che rinuncia al suo lavoro di contrasto alla forza di attrazione terrestre e viene sostituita dalla massa grassa. A questa eventualità però non si risponde soltanto con l’alimentazione, quanto con il quotidiano esercizio: la ISS è infatti dotata di una postazione di allenamento fisico, con apposite attrezzature. Anche il tessuto osseo è a rischio, e trae beneficio dall’attività fisica aggiuntiva e da cibi con alto contenuto di calcio e poco sodio, come quelli forniti da Space Food Lab.
Cosa accadrà in futuro?
In questo ultimo periodo lo chef Stefano Polato ha studiato il menù per Andreas Mogensen, astronauta danese che ha passato alcuni giorni sulla ISS. Con lui ha portato avanti la sua sperimentazione culinaria, studiando più a fondo le alterazioni della percezione gustativa che avvengono nello spazio per riuscire a ricreare in futuro gli stessi sapori della terra: al momento non esiste infatti nessuna tabella che registri queste variazioni. Anche il processo di termostabilizzazione è in evoluzione: qui lo sforzo è incentrato nella ricerca di ingredienti con il giusto ph e grado zuccherino, e sul raggiungimento della pressione ideale (durante la lavorazione si arriva anche a cifre come 6000 bar), per poter tenere basso il parametro della temperatura e salvare così vitamine ed elementi nutritivi che altrimenti si disperdono, impoverendo i cibi. La ricerca sull’alimentazione spaziale, tuttavia, anche in terra nazionale si muove in direzione della produzione di cibo in loco, con colture in serre spaziali e stampa 3D, argomento che approfondiremo nelle prossime puntate a tema astronomico.