Dopo il successo a Firenze, Umberto Montano porta il suo Mercato Centrale nella capitale. Le botteghe di 20 artigiani animano la Cappa Mazzoniana in Via Giolitti 36
Girate per Roma e chiedete a un romano dove si mangia bene, bene per davvero. Il romano doc vi risponderà: ovunque. Noi, che vi abbiamo già consigliato 10 nuovi ristoranti in cui potrete ridefinire il concetto di gusto capitolino, abbiamo trovato un altro posto che rischia di diventare il centro nevralgico del buon cibo a Roma: il Mercato Centrale. L’iniziativa non è nuova ai fiorentini, che possono goderselo già da qualche anno. Ma lo scorso 5 ottobre 20 botteghe di artigianato alimentare hanno iniziato ad animare la dimenticata Cappa Mazzoniana in via Giolitti, 36, dando vita al Mercato Centrale Roma.
Come nasce il progetto
Prendete 40 anni di vita dedicata al cibo di qualità senza compromessi e trasformatelo in un business: avrete il Mercato Centrale di Umberto Montano, deus ex machina del cuore alimentare di Firenze e a ora anche di Roma. “Inventarsi il Mercato Centrale è una strada coerente con una vita passata a non farsi intrappolare dalle scorciatoie che la qualità la potrebbero far apparire, ma non garantire”, ci spiega Montano. Ma per fare la guerra alla finta qualità, ci vogliono i giusti alleati. C’è Domenico Montano, figlio di Umberto, che segue da vicino i progetti culturali del Mercato. Ma soprattutto c’è Claudio Cardini, il patron del gruppo ECVacanze: “Abbiamo investito nel progetto al 50%”. Per aprire il Mercato Centrale di Roma ci sono voluti 4 milioni di euro, “senza contributi o agevolazioni”. E, al contrario di quello che si può pensare, Montano si è innamorato subito di Roma, della disponibilità e della concretezza delle persone con cui ha lavorato. Problemi burocratici? “Nessuno, abbiamo lavorato con serenità”.
La filosofia del Mercato Centrale
Un’unica teoria: “La bontà è elementare”. Il mantra del Mercato Centrale funziona, come dimostrano i 20 milioni di euro di fatturato del 2015. Questa filosofia è stata ispirata da Emilio Isgrò e dal suo concetto di cancellatura, un’operazione di “igiene mentale del linguaggio” che dopo mezzo secolo rivela ancora grande vitalità e spunti di riflessione. La cancellatura serve a rivelare la parola non cancellata, a farla germogliare. “Noi vogliamo ricominciare da capo e mostrare cosa c’è alla base della cucina italiana, una cultura immensa che dobbiamo far vedere”, spiega Montano. Quindi togliere tutti gli orpelli e lasciare solo la materia prima e la maestria degli artigiani.
L’innovazione secondo Montano
Al Mercato Centrale gli artigiani devono solo pensare a fare gli artigiani, a “intrigare il pubblico con cibi incredibili, senza sbagliare un colpo. Al resto – il pubblico, la comunicazione, il marketing – ci pensiamo noi”, racconta l’ideatore del format. Inoltre è il concetto stesso di mercato, da contrapporre alle tanto di moda boutique gastronomiche, a fare la differenza. “Eataly è il più grande diffusore di cibo italiano nel mondo. Se consideriamo anche l’Italia, quest’azienda fattura ogni anno sotto i 600 milioni di euro. Carrefour invece, che vende prodotti francesi di qualità non proprio confermata a prezzi non bassi, fattura 8,2 miliardi di euro. Pensi a quante opportunità genererebbero queste grandezze di fatturato, applicate alla nostra cultura culinaria! Ma noi abbiamo talmente tanto che non sappiamo farne uso”, riflette Montano. L’innovazione del Mercato Centrale sta anche in questo: portare in punti nevralgici la bontà elementare al giusto prezzo.
Le botteghe del mercato centrale
Girando tra i banchi del Mercato Centrale di Roma si possono assaggiare e acquistare cibi di elementare e superba qualità. Si va dalle pizze e focacce del forno tradizionale di Gabriele Bonci, alla carne e i salumi del macellaio romano Roberto Liberati. Del pesce se ne occupa l’Antica Pescheria Galluzzi dal 1984. Ampio spazio anche al Trapizzino di Stefano Callegari, esportato oltre oceano dall’amico Paul Pansera. I fritti sono quelli di Martino Bellicampi di Pastella. Le paste fresche sono di Egidio Michelis e i carciofi di Alessandro Conti, titolare della storica bottega in Campo de’ Fiori.
I funghi li coccola Gabriele La Rocca, fungaio da generazioni di Oriolo Romano. Il cioccolato è quello Steiner del cioccolataio Pierangelo Fanti di Massa Carrara, che venderà anche i fiori recisi. Per i formaggi abbiamo Beppe Giovale (Piemonte), mentre per i semifreddi e il gelato troviamo Cremilla. E ancora: il tartufo di Luciano Savini, le proposte vegane-vegetariane di Marcella Bianchi, l’hamburgher di Chianina di Enrico Lagorio, le specialità siciliane di Carmelo Pannocchietti di Arà e pizza spicchiata di Romualdo Rizzuti. “Gli artigiani me li vado a cercare io, li scelgo io e non permetto a nessuno di interferire”, racconta Montano. “Deve avere una personalità identificabile, una storia e deve fare le cose buone. Poi sono io che scelgo, in totale assenza di democrazia!”.
Una rivoluzione a dodici cilindri
“Dopo l’apertura del Mercato di Roma, dobbiamo farlo funzionare. Il Mercato Centrale è una specie di 12 cilindri che, se non guidi bene, ci vai a sbattere. Quindi va guidata dagli uomini e va guidata per bene. Ed è questo che faremo nel prossimo futuro mio figlio, io e il mio socio”. Elementare, come la bontà.