Intervista a Danila De Stefano, Ceo di Unobravo
Tra gli effetti collaterali della rigide cure anti coronavirus – lockdown, didattica a distanza e isolamento – non si può più trascurare quello che riguarda l’impatto che questo periodo ha avuto e continua ad avere sulla salute mentale delle persone. Di recente gli psichiatri hanno lanciato un allarme: nei prossimi mesi ci si aspetta un aumento di 800mila nuovi casi di depressione. Oltre ai soggetti più fragili e soli, la questione riguarda anche i giovani, quei milioni di alunni e studenti che da oltre un anno hanno ridotto all’osso le occasioni di socialità e hanno perso l’abitudine della quotidianità a scuola. Per moltissimi, addirittura, la didattica a distanza non ha proprio funzionato. Un recente sondaggio a livello internazionale ha rilevato che quasi la metà degli studenti è preoccupato degli effetti che questo periodo potrà avere sulla propria salute mentale. Per approfondire la questione StartupItalia ha raccolto gli spunti e i commenti di Danila De Stefano, amministratrice delegata e fondatrice di Unobravo, startup che mette in rete oltre 300 terapeuti per sedute online.
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Depressione: ancora un tabù
Se è vero che in Italia la depressione e tutti i temi legati alla salute mentale restano ancora un tabù per società e media, l’emergenza coronavirus ha però rovesciato sul tavolo questioni improrogabili, legate alla tenuta psicologica di milioni di persone. «Le richieste di aiuto sono tante – ha commentato Danila De Stefano – ed è difficile stimare quanto incida la pandemia. Le risposte le avremo tra qualche anno. Quello che però già oggi notiamo a livello qualitativo è che crescono tantissimo le difficoltà legate ad ansia, depressione e gestione delle relazioni. Come se questo periodo avesse acutizzato i problemi già vissuti da molti». Presentata e vissuta spesso come qualcosa di cui vergognarsi, la depressione non ha numeri certi e, rispetto ai dati quantitativi a disposizione, si può senz’altro ipotizzare che vengano approssimati per difetto.
Chiedere aiuto
Come riferiva l’AGI lo scorso anno, il 32% della popolazione manifesta sintomi depressivi. Come è dunque possibile che una condizione riguardante una buona fetta della popolazione fatichi a imporsi sull’agenda delle istituzioni? «In Italia manca una vera cultura psicologica. Il messaggio è sempre quello: chi va dallo psicologo significa che non ce l’ha fatta con le proprie forze. Io vivo in Inghilterra – ha spiegato la Ceo di Unobravo – dove tante organizzazioni aiutano gratuitamente le persone più fragili, come quelle che hanno tentato il suicidio. In più c’è una campagna di sensibilizzazione costante. Cartelli ovunque con scritte del tipo “There is not shame in getting help“».
Capitolo giovani
Per inquadrare la gravità di quanto sta accadendo potrebbero bastare le parole di chi lavora all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma: prima d’ora non era mai capitato che venissero occupati posti letto da minori che hanno commesso atti di autolesionismo o, addirittura, tentato il suicidio. Di fronte a difficoltà simili che ruolo può giocare la scuola? «Da anni si parla della necessità di introdurre lo psicologo scolastico. Oggi affinché un minore si faccia seguire da un terapeuta è necessaria l’autorizzazione dei genitori – ha spiegato Danila De Stefano – e purtroppo questo blocca molti di loro. O per vergogna a chiedere aiuto, o per situazioni famigliari difficili. Alla fine tanti rinunciano». In vista del Next Generation EU che molto dovrà destinare alla scuola e all’istruzione sarebbe dunque necessario un ragionamento maturo e serio su questi temi. «Solo quando riusciremo a fare comprendere l’importanza della salute mentale ci sarà una svolta – ha concluso – da psicologa dico che molto spesso con i giovani che vorrebbero chiedere aiuto ci sentiamo come se avessimo le mani legate».