Viaggio tra le dieci finaliste di BioUpper, per conoscere meglio le idee biotech che si preparano, tra un pitch e un business plan, all’ingresso sul mercato
Parlando delle startup biotech, si ha spesso la sensazione di sfogliare un bellissimo romanzo di fantascienza. Invece passando in rassegna le finaliste di BioUpper, la prima piattaforma italiana di training e accelerazione che supporta nuove idee di impresa nel campo delle scienze della vita, le prospettive diventano incredibilmente reali.  Nata dalla partnership tra Novartis e Fondazione Cariplo, in collaborazione con PoliHub e con la validazione scientifica di Humanitas, la call di BioUpper entra nel vivo, con le 10 startup finaliste attualmente nell’accelerator program fino ad aprile, quando si terranno le premiazioni. Proviamo a conoscere meglio le idee, i progetti, le ambizioni di questi dieci progetti, e in che modo potranno posizionarsi sul mercato, acquisendo mentalità imprenditoriale e strumenti di lavoro. Partiamo da Probiomedica, startup pensata per offrire un’innovativa fototerapia per la cura dell’infezione da Helicobacter pylori, studiata per i pazienti antibiotico-resistenti, che rappresentano circa il 25% del totale. Si tratta di un dispositivo, una vera e propria capsula ingeribile, che una volta giunta nel tratto gastrico, eradica il batterio emettendo luce ed evitando così gli effetti collaterali dell’attuale terapia antibiotica. Come dicevamo, appunto, quando la fantascienza che diventa scienza.
Con BioUpper fin dalla prima edizione
Il team di Probiomedica è multidisciplinare e molto ampio, e lavora in squadra da tempo. E’ composto da Giuseppe Tortora, un ingegnere biomedico con dottorato in BioRobotica, che negli ultimi 4 anni si è profondamente dedicato alla formazione imprenditoriale. Lo affiancano membri con una formazione di ricerca presso il Dipartimento di Scienze Biomediche, Sperimentali e Fisiche Mario Serio dell’Università di Firenze, due fisici, Franco Fusi e Giovanni Romano, professori ed esperti nel campo della foto-medicina; due biologi, Barbara Orsini e Monica Monici, due medici gastroenterologi, il Professor Calogero Surrenti e Elisabetta Surrenti. Il team è completato da un freelance, Gianni Paoli, con esperienza nel fundraising pubblico, consulente per la preparazione e la gestione di proposte di progetto e da figure tecniche junior provenienti dai rispettivi gruppi di ricerca. Conoscono BioUpper fin dalla prima edizione e la partecipazione alla seconda edizione è scaturita dal fatto che Probiomedica usciva da un percorso precedente che ha messo in luce alcuni punti considerati fondamentali per lo sviluppo del business. In definitiva per loro BioUpper è stata la prima opportunità per ripresentare il progetto a investitori italiani e internazionali con una struttura societaria snella e operativa e, soprattutto, con una rafforzata proprietà intellettuale. Ne parliamo con Giuseppe Tortora.
State perfezionando un’innovativa fototerapia per la cura dell’infezione da Helicobacter pylori, studiata per i pazienti antibiotico-resistenti. Come nasce questa idea e come si è sviluppata fino a qui?Â
«L’idea di CapsuLight è nata nel 2008 da un gruppo di ricerca del Dipartimento di Scienze Biomediche, Sperimentali e Fisiche M. Serio dell’università di Firenze. Si è sviluppata nel corso degli anni fino al 2014, anno in cui sono stati fatti importanti progressi tecnici e scientifici grazie alla collaborazione dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, come la realizzazione di un prototipo dimostrativo e la sperimentazione su colture in vitro di Helicobacter pylori. Dal 2014 stiamo sviluppando il progetto dal punto di vista imprenditoriale».
Cosa ancora manca al vostro progetto per tradurlo in impresa pronta per il mercato?
«Quello che probabilmente manca a Probiomedica è proprio la capacità di rendere l’idea esecutiva. Per farlo, sono necessari alcuni cambiamenti della struttura societaria al fine di velocizzare i processi decisionali e operativi».
Una delle principali debolezze del sistema dell’innovazione italiano è l’insufficiente quota di investimenti privati nelle startup. Nel settore delle scienze della vita questo problema è ancora più sentito. Fino ad oggi che difficoltà avete incontrato per trasformare un’idea biotech in un progetto imprenditoriale?
«Molto spesso si pensa che l’insufficiente quota di investimenti privati nelle startup sia legato soltanto alla totale mancanza di investitori early stage. Dalla nostra esperienza possiamo dire che sono anche, e soprattutto, le startup a dover creare l’ecosistema adatto per sfruttare le occasioni messe a disposizione dal sistema di innovazione italiano. Talvolta le startup, specie quelle universitarie, sono rallentate dai limiti del Trasferimento Tecnologico universitario che, adeguandosi ai ritmi e alle necessità degli accademici, si muove in ritardo rispetto a quanto sarebbe necessario per promuovere in maniera efficace la formazione di imprese da prodotti della ricerca, con il risultato che eccellenti prodotti della ricerca, con ottimi brevetti, non vengono mai sfruttati e muoiono all’interno dei laboratori».
In che modo il programma di accelerazione BioUpper sta incrementando le vostre competenze? In quali ambiti e con che tipo di impegno e competizione?
«Il programma di accelerazione di BioUpper ha confermato i limiti principali che erano già stati individuati, relativi alla struttura societaria e di governance, e ci sta aiutando a mettere in pratica delle soluzioni concrete. L’impegno richiesto è full-time e il supporto da parte di tutor e mentor essenziale».
Cosa vi aspettate concretamente alle fine di questo percorso?
«Ci aspettiamo di risolvere i limiti relativi a struttura societaria e di governance, per essere operativi e veloci fino alla concretizzazione della nostra idea».
In caso di vittoria, quali saranno i primissimi passi che realizzerete con i voucher del premio?
«I voucher del premio ci consentiranno, entro brevissimo tempo, di avere finalmente in mano il nostro prodotto in modo da proseguire con i test pilota che abbiamo in programma per lo sviluppo del business. Una vittoria vorrebbe dire che saremo in una condizione operativa tale da aprire ulteriori possibilità con investitori nazionali e internazionali con cui i nostri mentor e i nostri tutor ci metteranno in contatto quando i nostri limiti saranno risolti».