Massimo Nicora, grande esperto del cartone nipponico a StartupItalia!: «Si tratta di un fenomeno plurigenerazionale che trascende il tempo. In Italia non sono mancati nemmeno gli attacchi politici»
«Il 4 aprile 1978 ero lì, come tanti altri milioni di bambini italiani, piazzato in posizione strategica davanti alla televisione, quando Rete Due – allora Rai Due si chiamava così – mandò in onda per la prima volta, alle 19 in punto, Atlas Ufo Robot, alias Goldrake. Fu amore a prima vista». Lo ricorda così, Massimo Nicora, esperto italiano di questo fenomeno tanto giapponese, autore del libro C’era una volta Goldrake, volume che ha scalato le classifiche a riprova di quanto l’anime fosse (e sia tutt’ora) amato nel nostro Paese e che oggi torna in stampa per una edizione a tiratura limitata (100 copie), acquistabile solo dal sito di Società Editrice La Torre.
Il robot giapponese che fece impazzire i bimbi europei
«Quel Natale – ricorda Nicora – volevo a tutti i costi il modellino di 60 centimetri di Goldrake prodotto da Mattel. Feci impazzire i miei genitori, ma trovarlo era impossibile. Anni dopo scoprii persino che in Francia attorno ai prodotti del cartone era nato un vero e proprio “mercato nero” e che nei centri commerciali erano state assunte appositamente delle commesse che avevano come unica mansione quella di dire a genitori e bambini che no, il modellino del loro eroe era esaurito».
Il segreto del successo di Goldrake
Questa è solo la testimonianza di un bimbo di cinque anni e mezzo ma che ben dimostra l’impatto che ha avuto Goldrake nell’immaginario dei bambini europei: «Per comprendere il successo di Atlas Ufo Robot bisogna anzitutto contestualizzare – spiega l’autore di C’era una volta Goldrake – e ricordare i cartoni che andavano in onda all’epoca: Disney o di Hanna e Barbera. La scelta, insomma, si riduceva alle storie di Topolino e Paperino o alle avventure degli Antenati e dei Pronipoti. In qualche modo Goldrake impatta su di noi con tutto la sua “nipponicità” rappresentando un prodotto diverso, unico, anche “esotico”». Del resto, conclude Nicora: «Qualche cartone giapponese era già arrivato in Italia, come Kimba, il leone bianco o Heidi, ma il primo era ambientato in Africa, il secondo in Europa. Solo con Goldrake noi italiani scoprimmo i “veri” cartoni animati giapponesi». E poi aveva tutto: «C’era il dramma, la fantascienza e soprattutto i robottoni… i giapponesi del resto sono veri esperti in materia: iniziarono a costruirli in legno già nell’epoca Tokugawa, oltre quattro secoli fa, perciò chi meglio di loro poteva ottenere successo con i robot?»
La fusione di due oggetti entrati nel mito: gli Ufo e i robot
Oggi, per Massimo Nicora, Goldrake è un vero e proprio «classico senza tempo, come certi libri della letteratura o certi film». E come per tutti i classici, anche attorno a Ufo Robot negli anni sono sorte storie interessanti, racchiuse in C’era una volta Goldrake che, nelle sue 662 pagine, raccoglie 12 interviste e tanti aneddoti divertenti. A iniziare dal nome del robottone: Goldrake, Ufo Robot o Atlas Ufo Robot? «La casa di produzione Toei diede l’incarico al mangaka Go Nagai di raccontare storie con al centro un ufo che fosse un robot, due temi di successo tra i giapponesi di quegli anni». Ecco dunque come nasce l’Ufo Robot, dalla necessità di abbracciare il pubblico più ampio possibile.
Lost in traslation
Ma il nome del cartone qual era? «In Giappone – spiega Nicora – il termine Grendizer è stato riciclato da un vecchio progetto intitolato “Plus Power! Grendizer” che la società di Nagai aveva proposto alla Toei, ma che non ebbe poi sbocchi sul mercato morendo ben prima della produzione. Il cartone di Ufo Robot arriva in Francia e là si ritiene che Grendizer sia cacofonico: Jacques Canestrier, produttore della serie, crea il nome Goldorak fondendo insieme altri personaggi molto in voga dell’epoca: Goldfinger, il cattivo del più noto film di 007 e Madrake il mago.
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In Italia, Goldorak diventa Goldrake (con l’accento sull’ultima sillaba) perché i dirigenti e funzionari RAI preferiscono un nome più inglese». E Atlas Ufo Robot? Frutto di un malinteso, illustra Nicora: «Per anni s’è pensato erroneamente che in RAI, non sapendo il francese, avessero creduto che il frontespizio del materiale informativo con la scritta “Atlas Ufo Robot” fosse il nome del programma e non un semplice atlante del cartone animato. In realtà ci fu la scelta precisa di aggiungere il termine “Atlas” da parte di Annibale Roccasecca, allora responsabile del doppiaggio, perché suonava esotico».
In Italia scoppia l’immancabile polemica politica
Goldrake non si fa mancare nulla. Nemmeno la polemica politica. «Fu duramente attaccato da esponenti della sinistra e, specularmente, difeso dalla destra», ricorda Nicora. «Uno dei suoi più aspri oppositori fu l’onorevole Silverio Corvisieri, esponente e fondatore di Avanguardia Operaia che riteneva il cartone una “orgia della violenza”. Anche il Nobel Dario Fo attaccò Goldrake». Ma ci furono dei distinguo: «Gianni Rodari invece lo difese dalle colonne di “Rinascita”, il celebre quotidiano socialista, come difese negli Anni ’50 la concezione dei fumetti dalle critiche di Nilde Iotti».
Avversato dai comunisti, che lo ritenevano l’esaltazione del singolo rispetto al popolo e amato dai missini, Goldrake era di sinistra o di destra? Nicora ci scherza sopra: «Actarus, il pilota di Goldrake, era un extraterrestre… ben più di un extracomunitario insomma, in più era in fuga dalla guerra visto che il suo pianeta era stato invaso dalle truppe del Re Vega, quindi era anche un profugo. Nonostante tutto, arrivato sulla Terra combatte per difenderci e per difendere la libertà: extraterrestre, profugo e anche partigiano!»