Non solo: scavano nei social, a partire da LinkedIn e Facebook. Ecco cosa li impressiona di più in un’indagine di Wyser
Quanto c’entrano i social nella fase di selezione? O meglio, quanto possono influenzare le possibilità di successo di un candidato? Molto. Anzi: moltissimo. Secondo un’indagine di Wyser, società internazionale di Gi Group specializzata nella ricerca e selezione di profili manageriali, l’80% degli “head hunter”, i cacciatori di teste, effettua ricerche online sul candidato dopo aver ricevuto il suo curriculum vitae.
I fantasmi online non fanno una buona impressione
Il punto è che se per il 66,7% l’assenza del candidato dalla rete non ha alcun impatto, tuttavia per uno su tre essere proprio dei fantasmi impatta negativamente sulla prima impressione. L’indagine ha coinvolto professionisti del recruiting italiani e ha dunque verificato come l’assenza assoluta dai meandri del web sembri non essere un ottimo biglietto da visita. Tuttavia, chi invece ha un profilo social a cosa dovrebbe prestare maggiore attenzione?
Cosa curare su LinkedIn
Su LinkedIn, per esempio, ordine, completezza e aggiornamento del profilo sono per il 61,9% le informazioni più importanti a cui badare. Guardando un profilo sul social controllato da Microsoft, poi, il 47,6% dà valore alla coerenza delle informazioni rispetto a quelle contenuto nel curriculum e il 26,2% si concentra sulle intestazioni e sulle sintesi. Minore attenzione viene invece posta sulle raccomandazione e segnalazioni (7,1%) e sull’attività di pubblicazione di post (4,8%).
“Il web offre molteplici informazioni su un candidato. Occupandoci di profili manageriali possiamo trovare ad esempio articoli o eventi relativi al candidato. Non solo Google, ma gli stessi social sono entrati ormai nell’attività di recruiting ed head hunting – spiega Carlo Caporale, amministratore delegato Wyser Italia – LinkedIn ad esempio è un ottimo canale dove pubblicare annunci e ricevere candidature ma non si può negare, e lo conferma anche la ricerca, che i social in generale siano uno strumento per raccogliere maggiori informazioni sul profilo professionale del candidato. Preme sottolineare come questo strumento vada, però, utilizzato secondo le regole che vigono anche in sede di colloquio. Ciò significa senza invadere la sfera privata del candidato, del tutto irrilevante ai fine dell’assunzione, e rispettando le norme non discriminatorie previste dalla deontologia della professione”.
Gli altri social: Facebook su tutti
Non c’è ovviamente solo LinkedIn: solo il 23,9% dei recruiter dichiara infatti di non navigare sugli altri social. Il restante 76% indaga eccome: Facebook è il social maggiormente visitato, indicato dal 61,9% degli head hunter, dopo LinkedIn. Instagram, invece, viene preso in considerazione solo dal 7,1% degli intervistati, è la “riserva” meno battuta dai professionisti della selezione. Dato che sottolinea la scarsa rilevanza delle informazioni sulla vita privata nel processo di ricerca e selezione dei talenti.
Cosa cercano gli head hunter sui social? Le soft skill
Ma allora cosa cercano sui social gli head hunter? Il 45,2% si sofferma sulle caratteristiche della personalità, come apertura mentale, propensione a collaborare e senso etico. O almeno tenta di approfondirle. Il 42,9% invece cerca conferma circa le qualifiche per il lavoro. Minore importanza viene infine assegnata agli interessi del candidato (7,1%) e alla sua capacità di esprimersi correttamente in italiano o in altre lingue (4,8%)
Carlo Caporale
“Non è un caso, dato che le caratteristiche della personalità sono fondamentali per i profili manageriali – aggiunge Caporale – i cambiamenti nel mondo del lavoro e le nuove dinamiche che lo regolano fanno delle soft skill spesso le armi vincenti di manager e professionisti che si affacciano a nuove realtà”.
Male contenuti volgari, discriminazione e forma sgrammaticata
Ovviamente visitando un profilo social l’head hunter può incappare anche in attività dell’utente che potrebbero portarlo ad avere un’impressione negativa. Il 69% degli intervistati non ha dubbi: contenuti volgari e offensivi sono il principale deterrente, seguiti da posizioni discriminatorie di ogni genere (40,5%). Non solo il contenuto, ma anche la forma può impressionare negativamente un head hunter: per il 35,7% errori grammaticali e ortografici sono un campanello di allarme, per quanto come visto sopra non proprio essenziali.
“Credo che la parola chiave sia resposanbilità, tema su cui noi di Wyser siamo particolarmente sensibili – conclude l’ad di Wyser – Essere responsabili significa essere consapevoli dell’impatto delle proprie azioni, sul posto di lavoro ma anche online, che è un ambito ancora più pubblico. Sono, quindi, contento di vedere come la sensibilità di head hunter e professionisti del recruiting non sia mancata su uno degli aspetti più rilevanti di questa ricerca”.