Il progetto Malìa, premiato con Oscar Green Coldiretti 2019, nasce grazie alla cultura tessile calabrese che pesca a piene mani nella sua flora locale e aiuta Flavia a confezionare abiti che sfidano il tempo
«Prima o poi il fast fashion dovrà fermarsi», dice Flavia Amato, creatrice del marchio di abbigliamento durevole Malìa Lab e vincitrice dell’Oscar Green Coldiretti 2019 per la sezione “Fare Rete”. Quando la moda usa e getta si arresterà, lei sarà pronta con i suoi capi fatti in tessuto di ginestra e altre fibre green a sfidare il tempo e la domanda di mercato. Ma soprattutto avrà riportato un’antica cultura – quella tessile – con sé, a casa, in Calabria.
Chiedilo a Google
«Un capo di abbigliamento può essere un’avventura che dura per tutta la vita», dice la stilista calabrese, formatasi nelle Marche e tornata in terra natìa, a Guardavalle, in provincia di Catanzaro. «Lavorando come terzista nel comparto dell’abbigliamento, facendo scelte etiche e sostenibili, non volevo far parte del sistema moda tradizionale», spiega Flavia.
Così tra il 2013 e il 2014 ha chiesto aiuto a Google, scrivendo “moda ecologica”. «Ho scoperto che c’erano solo pigiami, t-shirt e felpe. Non c’era alcuna possibilità di vestirsi con qualcosa di stiloso. Chi faceva scelte green, doveva essere per forza uno sciatto».

Abito Marta in Lana, Cotone, Canapa, Lino Biologico, realizzato dall’Atelier Moda Donna Artigianale Sostenibile Calabrese Malìa Lab
Grazie a un bando per startup dell’Istituto Adriano Olivetti Flavia ha lavorato sul suo brand. «Volevo unire moda, Made in Italy, biologico e sostenibilità, filati naturali certificati biologici ed ecologici – sottolinea la designer – Poi volevo nel mio brand anche artigianato e recupero di antichi filati. Questo mi ha portato a riconoscere e a rivalutare la mia terra perché la Calabria aveva una storia tessile incredibile, tutta a base di ortica, ginestra e baco da seta».
Moda green grazie alla ginestra
«Ma perché, mi sono detta, non tornare giù e fare qualcosa per la mia terra? Se tutti noi giovani partiamo dicendo “qui non c’è niente per me, non c’è più nulla”, se nessuno rimane e nessuno torna a dare il suo contributo, questa terra non cambierà mai», sostiene Flavia. Così nel 2016 ha aperto il suo atelier e ne è nato il brand Malìa, tutto focalizzato sull’abito eterno ma con stile, che eviti la moda del momento, ma che valorizza le varie fisicità femminili,
La ginestra colpisce l’immaginazione di Flavia. È una pianta spontanea, molto sfruttata soprattutto nell’arredamento calabrese. Aiutata dai ricordi e dalla memoria di sua madre, Flavia accosta fibre tecnologiche come quelle di bambù, di lempur o di latte, ai filati di lino e canapa, radicatissimi nella cultura tessile calabrese. I telai, prima fulcro della quotidianità di tante donne, erano stati bruciati perché inutili. «Ma ora noi li stiamo recuperando», dove “noi” sta per Flavia e il suo fidanzato, Paride.

© Flavia Amato e il fidanzato Paride
Fare rete: il progetto da Oscar di Flavia
Il ritorno a casa di Flavia è fatto anche di ricerca e di sinergie. Lungo la fascia Ionica ha incontrato coltivatori di ginestra, terreni abbandonati ricchi di ortiche, allevatori che dovevano smaltire la lana. Ha anche riscoperto le antiche lavorazioni di lino e canapa. Insieme agli abiti eterni, Flavia costruisce una rete attorno alle donne e agli uomini, che coltivano e raccolgono, che intessono il filato o consegnano la lana.
«Voglio creare una vera e propria filiera – puntualizza Flavia – quindi devo individuare collaborazioni e sinergie con altre persone. La difficoltà è proprio questa: trovare persone che vogliano collaborare a questo progetto». L’imprenditrice vuole mettere insieme antichi saperi, capaci di lavorare la seta e creare speciali abiti da sposa, alla strumentazione, recuperando i telai.
Proprio la voglia di fare rete ha portato Flavia e il suo progetto agli Oscar Green. «Dato che in Calabria c’è la Biosila, ci sono allevatori che creano prodotti caseari. Per loro la lana è un rifiuto speciale da smaltire. Da qui mi è venuta l’idea di recuperare quella materia prima – racconta la stilista – A loro fai un favore e per noi è una risorsa che ci evita di creare appositi allevamenti». Un’idea che ha convinto profondamente la giuria di Coldiretti.

Fast fashion vs slow fashion: chi vincerà?
Al momento Malìa ha un fatturato di circa 35 mila euro all’anno, ma è una cifra destinata a crescere, dato l’aumento della domanda di prodotti slow fashion. «Il fast richiede un impiego di risorse e forza umana che ad oggi sono sempre più insostenibili – sottolinea Flavia – L’acquirente ha il potere di cambiare l’offerta».
Secondo la designer dal 2014 a oggi c’è stata un’evoluzione incredibile dei consumatori e della loro consapevolezza d’acquisto. «La fascia d’età che sceglie lo slow fashion si sta abbassando. Prima era over 40. Oggi anche i ragazzi vogliono un prodotto alternativo – puntualizza Flavia – Per questo molti brand e case di moda si stanno preparando al fenomeno. Anche loro non possono negare l’evidenza: va presa un’altra strada. Bisognerà ascoltare le scelte del consumatore».