L’azienda permette ai suoi clienti di comprare uno spazio nei suoi satelliti e di raccogliere una miriade di dati
“Aggiungi un posto sul satellite!”. Potrebbe essere questo il payoff di una startup che inaugura una nuova era nei “business spaziali”. Si chiama Loft Orbital e abbatte i costi delle tecnologie satellitari: «Vogliamo rendere l’esperienza di accesso allo Spazio facile come acquistare servizi cloud su Amazon», spiega a Startupitalia!, il CEO Antoine de Chassy. Raggiunto su LinkedIn ci spiega qual è la soluzione innovativa che ha ideato.
Affitta uno spazio e risparmia
Il modo migliore per avere una visione obiettiva di alcuni dei problemi che attanagliano il Pianeta (come la deforestazione o l’accumulo di plastica sulla superficie degli oceani…) è guardarli dall’alto, dallo Spazio. È per questo motivo che aziende, scienziati e organizzazioni governative spendono “billon of dollars” l’anno (circa 45 miliardi) per lanciare satelliti nell’universo.
Il valore dei dati che reperiscono è incalcolabile. Tuttavia, lanciare un satellite nello Spazio può avere per molti costi proibitivi (siamo intorno ai 100 milioni di dollari!). Invece di costruirne o comprarne uno per inserire i tuoi sensori, puoi affittare uno spazio all’interno dei satelliti e ridurre di gran lunga i costi.
Così Antoine de Chassy racconta a Startupitalia! come è nata la sua soluzione: «Una buona idea di business nasce dalla commistione tra diversi elementi, una nuova tecnologia che nasce, un trend forte del mercato, un team che ha le competenze giuste e il timing, essere un passo avanti e non due! Nel nostro caso siamo partiti ascoltando i nostri consumatori: molti non potevano affrontare economicamente il lancio di un satellite e nessuna soluzione in circolazione poteva aiutarli. Nelle loro parole c’era già l’idea, una tecnologia diversa che potesse abbassare i costi e nel contempo ridurre i rischi».
In altre parole, Loft Orbital si occupa di tutte le procedure che precedono il lancio di un satellite in orbita, dall’acquisto, alle pratiche burocratiche (come le licenze e l’assicurazione). Ai clienti non resta che affittare una parte del satellite e “convivere” con gli spazi occupati da altre aziende, in una sorta di immobile con più inquilini all’interno. I clienti pagheranno una fee che varia sulla base della grandezza dei dati raccolti e dello spazio necessario per installare il sensore (se questo occupa l’80% del volume disponibile, l’azienda pagherà l’80% delle fee).
Il risparmio è notevole. I consumatori di Loft Orbital potranno pagare cifre che vanno da uno a venti milioni per missione, una cifra decisamente inferiore ai costi necessari per comprare o affittare un intero satellite.
Un seed di 3,2 milioni
L’idea di Antoine De Chassy ha fatto breccia nel cuore degli investitori (americani e asiatici) che hanno messo sul piatto 3,2 milioni di dollari per avviarla:
«Gli investitori considerano lo Spazio come una nuova frontiera del tech. Rispetto a tre anni fa sono più informati sul tema. L’ingresso dei nano satelliti, che garantiscono costi bassi e alte performance, ha cambiato i giochi! Le soluzioni IT e lo Spazio hanno trovato così il perfetto connubio e gli investitori lo hanno capito. Stiamo parlando di opportunità di business concrete, non di una scommessa».
De Chassy è a capo di un team, composto da ingegneri e scienziati con una forte expertise nel business dei satelliti (i cofounder hanno lavorato in Spire Global, startup che aiuta le aziende a raccogliere dati via satellite sul clima, finanziata per 70 milioni).
Con Loft Orbital spera di raggiungere per il 2019 il lancio di una dozzina di satelliti all’anno per ospitare i sensori di circa 75 aziende. A Fast Company rivela di aver già realizzato accordi con alcuni big delle telecomunicazioni, come Telkom Indonesia:
«In futuro immaginiamo tre sviluppi principali. Il primo è di implementare le tecnologie per il nostro modello ed è per questo che siamo in Silicon Valley che pullula di talenti. Il secondo è la validazione di mercato, non stiamo cercando la soluzione a un problema, che già esiste ed è verificato. Quello che vogliamo è trovare i modi più efficaci per soddisfare i bisogni dei clienti. Il terzo è quello di stabilire relazioni sempre più solide con i nostri partner industriali, in tutta la filiera della produzione e del lancio dei satelliti. Dopo aver realizzato tutti questi obiettivi cercheremo un nuovo round, per andare con maggiore forza sul mercato».
I nanosatelliti e il successo dei business spaziali
La Silicon Valley ha da tempo puntato sul business dello Spazio. I casi più celebri sono sicuramente due startup, ma che possono essere annoverate già tra i giganti del settore. La prima è SpaceX, l’azienda di ElonMusk che crea razzi spaziali e lavora per realizzare i primi viaggi su Marte. L’altra è Blue Origin, l’idea con la quale Jeff Bezos punta a conquistare lo Spazio, realizzando razzi e tecnologie nell’immediato con il sogno di fare business con il turismo spaziale.
Tra le soluzioni più interessanti degli ultimi anni c’è Stratolaunch, un sistema per lanciare satelliti in orbita partendo da un aereo colossale (dietro c’è Paul Allen, il cofondatore di Microsoft). Oppure Kymeta che offre terminali e antenne paraboliche a scansione elettronica. In questo modo rende la connettività mobile accessibile in settori come trasporti (autobus, areoplani, imbarcazioni, treni e automobili) penalizzati dalla natura ingombrante e dal peso delle tradizionali antenne paraboliche. E Moon Express che oggi manda robot sulla Luna e un domani esseri umani, per una “Luna di Miele” tra le stelle.
Anche nel nostro Paese le idee non mancano. Tra le startup che hanno fatto più strada c’è D-Orbit, la prima startup aerospaziale che ripulisce lo spazio dai vecchi satelliti e anche la prima a ideare una soluzione che li riporta sulla Terra, il D-Sat. Il fondatore, l’ingegnere aerospaziale Luca Rossettini, ha raccolto oltre 4 milioni di dollari.