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Disconnettersi per riscoprire la misura in cui Internet condiziona la nostra vita sociale. Per vedere l’effetto che fa
Durante una presentazione, qualche tempo fa, Mark Zuckerberg mostrò una piccola magia legata alla realtà aumentata di Facebook. Al vasto pubblico mondiale che seguiva l’evento spiegò che, volendo, avremmo potuto aggiungere una tazza virtuale accanto alla nostra sul tavolo della cucina. Suggerendo così ai nostri contatti, con una semplice foto, che quella mattina a colazione non eravamo soli come dei cani, in una periferia californiana o in un qualsiasi altro luogo del pianeta, ma felicemente in compagnia di qualcun altro. Quel giorno capii che forse un mio piccolo confine era stato superato.
Essere meno connessi – pensai – seguire meno il numero di tazze esposte sui social network dai miei amici, fare più cose fuori e meno cose dentro Internet, non mi avrebbe fatto male.
Devo moltissimo alla rete e non ho mai pensato che l’essere online (come si diceva una volta) abbia un ruolo tossico dal quale difendermi: ma sono dell’idea che una misura, fra il tempo che occupo guardando il display del cellulare e quello riservato al cielo sopra la mia testa, debba essere oggi in qualche maniera riconquistata.
Qualche mese fa ho cambiato operatore telefonico e sono passato a Iliad. L’ho fatto per molte piccole ragioni (per esempio perché nelle loro offerte commerciali non c’è traccia di zero rating, che è una pratica che detesto). Ora la rete di Iliad non è proprio – come dire – formidabile. Capita che non ci sia campo o che la banda disponibile sia incostante. Un tempo forse mi sarei risentito. Invece oggi, per colpa/merito di Iliad rimetto il cellulare in tasca, oppure chiudo il Mac e guardo il cielo. I limiti della tecnologia come chiave di interpretazione per il futuro. Chi lo avrebbe mai detto?