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Qualche giorno fa, Facebook e Twitter hanno fatto sapere al mondo che dietro ad una campagna di disinformazione comparsa sulle loro piattaforme c’era il Governo cinese. Numeri certamente non stratosferici. Qualche centinaio di account su Twitter, una manciata di profili e gruppi su Facebook, ma l’ennesimo tassello di una contrapposizione che tocca punti sensibili e che, in casi particolari come quello cinese, si interseca con un altro tema politico rilevante: la censura delle piattaforme social americane da parte del firewall cinese.
Sia come sia, la marketizzazione dell’influenza politica – uno sport recente che ha alcuni esempi eclatanti anche da noi, visto che uno dei maggiori partiti italiani oggi in circolazione nasce dentro una piccola società di consulenza milanese – vive in una costante incertezza numerica. Questa è, del resto, la sua forze e la sua debolezza. Basta l’annuncio di sotterranee campagne di disinformazione, è sufficiente nominare Bestie varie o immensi database pieni di dati che riguardano noi ed i nostri gusti, che immediatamente si scatena il dubbio. L’elezione di Trump, Brexit, ogni elezione europea o locale, ogni partita di biliardo al bar dell’angolo, sono sospettate di misteriose influenze esterne da parte di hacker cattivi che utilizzano tecniche a noi ignote. Così alla fine ogni manipolazione sarà teoricamente possibile: ogni partita di biliardo disponibile al miglior offerente.
In realtà non esiste alcuna solida prova che tutto questo avvenga, niente di troppo convincente che ci dimostri che tutto questo agitarsi non sia altro che spam, milioni di messaggi insistiti sparsi a caso, spesso elementari da un punto di vista del contenuto, destinati nel tempo – più che a disegnare con esattezza il nostro profilo psicometrico (credendo magari a gente che, per esempio, raccontava che disponendo di una manciata di link di chiunque si poteva sapere di quella persona più cose di quante non ne sapesse sua madre) – a finire più verosimilmente nel cestino della carta straccia.
E dopo che ogni giorno per anni un sovranista russo con un nick da stilista o un hacker cinese, un social media manager antieuro o uno spin doctor bestiale avrà provato a convincerci ad aderire alle sue idee, con la medesima solerzia ed efficacia con cui il principe africano prova da anni a convincerci ad accettare qualche milione di dollari sul nostro conto, allora forse ci renderemo conto che il mistero non era poi così misterioso: che i primi e forse gli unici ad avere interesse che tutta questa spazzatura disinformativa non circoli troppo sono proprio le grandi piattaforme, in ossequio al vecchio detto “Garbage in, garbage out”.
Che alla fine si sa, quando la spazzatura diventa troppa poi finisce che la gente si stufa e va da un’altra parte.