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In bocca al lupo a Mentana e alla sua nuova avventura editoriale in Rete. Che però deve guardare anche al passato per costruire una solida esperienza d’informazione di qualità
Ieri c’è stato il debutto online di Open, il nuovo giornale fondato da Enrico Mentana di cui si parla moltissimo. Ogni nuovo strumento informativo è una buona notizia, nel caso di Open lo è anche di più. Perché è dichiaratamente una operazione di “restituzione” (un famoso giornalista che spende il suo nome ed i suoi soldi per nuovi giovani colleghi) e perché si presenta come un’iniziativa controcorrente: aprire un quotidiano online oggi, in un momento nel quale tutta l’industria editoriale soffre in maniera particolare, è una scelta certamente coraggiosa.
Mille in bocca al lupo quindi al fondatore e alla sua giovane redazione ma anche, subito dopo, un’immediata perplessità.
Open si presenta, orgogliosamente, come un giornale da leggere sul cellulare, un quotidiano mobile. I numeri della Rete sono del resto noti a tutti. Ben oltre la metà degli accessi ai siti informativi, in Italia come altrove, avvengono ormai da smartphone e (meno) da tablet. Così Open ha scelto di non avere un vero e proprio sito in versione desktop. Chi accede da un PC o da un laptop si trova di fronte una versione AMP basilare e molto poco curata (per usare un eufemismo) dei contenuti prodotti dalla redazione per il mobile.
È una scelta forse necessaria, progettare un sito web moderno è estremamente difficile e costoso, ma in qualche misura profondamente sbagliata. Difficilmente i siti web informativi con qualche aspirazione rinunciano oggi ad una propria presenza web strutturata. Perfino i progetti più innovativi e orientati verso il mobile (penso a Quartz) hanno una presenza desktop, magari minimale, ma ben caratterizzata. Perché quello spazio resta la casa del giornale e il flusso sullo smartphone una sua propaggine.
Alle parole importanti serve un contenitore, ai contenuti strutturati serve un archivio. Le facezie e le chiacchiere possono invece scorrere ovunque senza grandi patemi. Scegliere di non presidiare un proprio luogo di Rete, facendo assomigliare il proprio lavoro al flusso incessante della colonna degli aggiornamenti delle piattaforme social, sembra un modo come un altro per condannarsi all’irrilevanza.