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La Rete cambia, si evolve. La tecnologia seppellisce gli strumenti di oggi per sostituirli con quelli di domani. Panta rei: meglio non affezionarci troppo a un social
MySpace non è diventata la casa di tutti i musicisti del mondo. I Google Glass non mi condurranno mai, come mostrava con grande esattezza un video che Google diffuse con lieve precipitazione, nel settore filosofia della mia libreria preferita. I blog non hanno cambiato il giornalismo. Nessuno sceglie più di impiegare il proprio tempo taggando gelaterie nelle quali è passato (il nome della piattaforma nemmeno lo ricordo). Nessuno annuncia più su Anobii quali libri ha letto, sta leggendo o leggerà .
Tutto invecchia velocemente in rete e mentre io sono qui che provo a ricordarmi quale fosse l’indirizzo della mia prima casa online su Geocities, mentre alcuni cercano nella memoria i nick di vecchi amici conosciuti su Friendfeed (amici che parlavano male di loro dentro stanze private su Friendfeed) o si rammaricano di aver speso qualche ora posizionando i propri conoscenti dentro le cerchie di Google Plus, tutto sta cambiando di nuovo.
Con una lacrimuccia di commozione ricordiamo quando pagavamo volentieri un abbonamento annuale a Flickr, o quando Skype era un brillante software peer to peer dove ognuno contribuiva silenziosamente alla buona riuscita delle connessioni altrui.
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Allo stesso modo fra dieci anni probabilmente ricorderemo con affetto quando aggiungevamo amici su Facebook e quando mettevamo un cuoricino alle foto dei nostri contatti su Instagram. Tutto ci sembrerà così meravigliosamente romantico. Tutto ci apparirà così irrimediabilmente stupido e perduto. E lo stesso accadrà per sempre. È il cambiamento l’anima della Rete: il pesce Bahamut che tutto sostiene.