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Provate a googlare le parole ‘storia dell’uomo’ e poi fate lo stesso con ‘storia della donna’: nel primo caso appariranno articoli dedicati all’evoluzione della specie umana sulla Terra, nel secondo, articoli sull’emancipazione femminile, soprattutto dal passato più recente a oggi. Come dire: l’uomo rappresenta la storia dell’umanità, la donna ne rappresenta solo una piccola parte.

Poi fate una seconda prova: prendete l’immagine dei leader riuniti in occasione di un G20 o di un qualsiasi altro summit. Le uniche note di colore in una tavolozza dominata dai blu o dai grigi saranno indossate da donne, che saranno anche le uniche a distinguersi, eventualmente, con un look diverso dal classico abito d’ordinanza.  

« L’egemonia del genere maschile, considerato di fatto dalla società il genere neutro, permea ogni momento della nostra vita quotidiana»: così due semplici esempi sono bastati a Claudio Nader, docente, operatore culturale e fondatore dell’Osservatorio Maschile, per rendere concreto e vivido il tema centrale dell’incontro “Quello che (ancora) non sappiamo sui maschi”, organizzato nell’ambito di toDEI, il progetto del Gruppo Mediobanca finalizzato a promuovere la cultura dell’equità attraverso la valorizzazione delle unicità.

Archetipi maschili raccontati con ironia

Un’occasione, inoltre,per parlare di stereotipi e luoghi comuni, anche con umorismo. Per esempio, Gaia Spizzichino, che sul suo profilo Instagram Normalize Normal Homes racconta «la banalissima normalità con consolatoria ironia», ha elencato una serie di archetipi maschili che «ogni donna incontra nel corso della sua vita sentimentale», da lei individuati ispirandosi a famose serie tv, come L’Amica Geniale e Mare Fuori, oppure al mondo della musica («senza alcun riferimento alla biografia personale dei cantanti», ha specificato). 

Il maschio, paradigma della società 

«Storicamente percepito come paradigma della società, il maschio fa fatica a separare la propria individualità dal ruolo che gli viene attribuito e richiesto, ritrovandosi così a dover dare un’immagine di sé lontana dal proprio modo di essere, basata sul mostrare i muscoli, sulla realizzazione professionale a tutti i costi, sul saper fare come competenza prevalente», ha proseguito Nader. Insomma, gli uomini fanno quello che da loro ci si aspetta e di queste dinamiche, a differenza delle donne, sono ancora molto poco consapevoli, come dimostra la difficoltà ad avvicinarsi alle questioni di genere, tuttora erroneamente considerate di interesse prettamente femminile. 

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La “grande rinuncia maschile”

Basta guardare al mondo della moda per capire quanto le aspettative esterne possano essere forti e condizionanti. Intorno alla fine dell’Ottocento, con quella che è stata definita la “grande rinuncia maschile” i codici dell’abbigliamento sono stati radicalmente stravolti: le gonne e gli abiti lunghi, insieme a tacchi, parrucche e capi dai colori vivaci, sono diventati appannaggio esclusivamente delle donne. «Da allora gli uomini hanno cominciato a indossare un costume che dava loro rilevanza e credibilità sociale, a discapito però dell’espressione individuale del sé».

Il classico completo maschile, portato con poche varianti in tutti gli ambienti politici, economici ed istituzionali, è ancora oggi simbolo di potere. «Quando i giovani entrano nell’età adulta, ricevere la giacca e cravatta, quindi il costume da maschio, è quasi un passaggio rituale, il segno che si è diventati uomini. Addio colori, addio forme, addio varietà». 

Le stesse donne, quando arrivano a ricoprire determinati ruoli, spesso indossano il tailleur di colore scuro: «si neutralizzano, per avere un riconoscimento e adeguarsi a certi canoni». Qualcuno ogni tanto prova a cambiare qualcosa e anche questi gesti assumono una valenza che va ben al di là della scelta estetica: Steve Jobs con il dolcevita nero collo alto, i tech guy della Silicon Valley con il gilet sportivo. «Sono tutti modi per distinguersi, e non diventare invisibili dietro un costume». 

Tre libri per capire 

“Invisibili” è anche il titolo del libro (Ed. Einaudi) in cui Caroline Criado-Perez mostra come l’esperienza femminile non venga presa in considerazione in tanti campi, dalla medicina alla progettazione delle toilette pubbliche. «Tutto viene tarato sul maschio, ma si tratta comunque di un parametro fake, perché non esiste il maschio per antonomasia – ha osservato Claudio Nader -. Dovremmo dire che esistono le maschilità, non la maschilità». 

In “Uomini duri. Il lato oscuro della mascolinità” (Ed. Il Mulino) Maria Giuseppina Pacilli spiega come vivere in una società patriarcale e sessista può essere svantaggioso e dannoso anche per gli uomini, sebbene in modo diverso rispetto a quanto avviene per le donne, mentre “Il nudo maschile” di Leonardo Iuffrida (Ed. Odoya) è una bussola per interpretare, attraverso la fotografia e la moda, i comportamenti dell’uomo e alcuni fenomeni della contemporaneità, dalla pornografia all’esibizionismo, dal sadomasochismo agli abiti genderless, dal transgenderismo alla realtà queer.

Essere padri in modo diverso 

Uno dei campi in cui soffia più la voglia di cambiamento da parte degli uomini è quello della paternità: «I giovani cercano una propria dimensione, vogliono un ruolo diverso e non ci stanno a essere considerati dei mammi». 

Parlando con loro, ma anche con tanti adulti, si scopre una crescente voglia di riflettere, di raccontarsi, di dire cose mai dette prima a nessuno, di uscire da certi schemi che in fondo vanno stretti pure a loro. «Le questioni di genere sono figlie dei femminismi, per cui finora si è discusso di quello che i maschi fanno, non di quello che sono, e degli effetti negativi del loro comportamento – ha concluso Nader -. Ma ci sono tanti uomini che vogliono parlare e condividere il loro punto di vista, costruendo una prospettiva anche maschile».