Per la nostra rubrica sui videogiochi una startup di Liverpool ci propone un horror tutto di carta
Una casa lugubre e decadente, come quella della famiglia Addams, immersa nell’oscurità di un bosco che pare avvelenato da chissà quale antica maledizione. Non c’è videogioco horror che non contempli un simile scenario: da Alone in the Dark (giù il cappello) a Resident Evil, fino ad arrivare al simpaticissimo Luigi’s Mansion (letta la nostra recensione di Luigi’s Mansion 3?). Allo stesso modo, la magione fatiscente è la reale protagonista di Paper Cut Mansion, intrigante produzione dall’aspetto grafico peculiare sviluppata da una startup innovativa britannica, Space Lizard Studio e appena approdata su Nintendo Switch (il nostro Alessandro qui ha provato la versione per console maggiori).
La particolarità di Paper Cut Mansion, difatti, sta nello stile artistico adottato, che rende tutto molto simile a un diorama in movimento. Anche la carta, però, può ferire e i mostri e le atrocità che si celano nella villa abbandonata dai vivi ne sono una prova.
Rispetto ai survival horror tradizionali, questo videogame britannico alle inquadrature fisse o poste alle spalle dell’eroe predilige una visuale isometrica. Scelta strana che per certi versi stronca sul nascere la possibilità di saltare sulla sedia per l’apparizione improvvisa di qualche nemico. Ma il fulcro del gioco, del resto, non sono i combattimenti (i mostri andranno passati per le armi con uno strano bastoncino di zucchero natalizio da impugnare tipo fucile a pompa), quanto gli enigmi, molti dei quali chiameranno in causa nemmeno troppo velatamente la saga horror Capcom.
Quello che proprio non ci si aspetterebbe è la possibilità di accrescere le statistiche del proprio alter ego, così da renderlo più resistente agli attacchi dei mostri, ma pure più intelligente e consentirgli di affrontare anche i rompicapi più tosti. La strana mescolanza di generi fa sì che il titolo britannico sia difficilmente inquadrabile e questo non è il massimo: non tanto per la nostra mania di dare etichette, quanto perché, pad alla mano, si ha la sensazione di avere di fronte un prodotto senza né capo né coda. Alcune buone idee ci sono, altre lasciano a desiderare, mentre l’intelaiatura che le unisce è fin troppo spesso derivativa.