La software house canadese Awaceb presenta una avventura coloratissima e ispirata che ci porta a scoprire paesaggi e culture realmente esistenti
Awaceb è una piccola startup videoludica canadese che si compone di appena undici creativi. I due co-founder, Puil Crifo e Thierry Boura, probabilmente stanchi dei gelidi paesaggi in cui oggi sono immersi, hanno deciso di tornare con la mente alla loro giovinezza vissuta in Nuova Caledonia, un arcipelago tropicale sperso nel bel mezzo del Pacifico e proprio da lì è nato Tchia.
Tchia o “Zlda”?
Inutile dire che, per tipologia di azioni, situazioni e trovate, Tchia ricordi da vicino The Legend of Zelda, in cui anche questa giovane protagonista si trova alle prese col delicato passaggio tra la gioventù e l’età adulta. La presenza di una zattera per girovagare tra le isolette dell’arcipelago e di una enorme foglia per planare, in particolare, rimandano a The Wind Waker, così come lo stile artistico tondeggiante e cartoon.
Sebbene Tchia sia ambientato ai giorni nostri, sono davvero numerose le fasi in cui pare proprio di avere a che fare con un clone dell’epopea Nintendo. Ma il titolo canadese oltre a prendere in prestito dalla Leggenda particolari e parte dell’immaginario, sa pure differenziarsi. A iniziare dal Salto dell’anima, potere che permette alla giovane eroina di incarnarsi per breve tempo in animali e oggetti a tiro.
In questo modo potrà compiere azioni impensabili, sfruttando le caratteristiche uniche della cosa o della bestia posseduta. Questo torna utile soprattutto quando si affrontano gli sparuti combattimenti con gli scagnozzi di pezza controllati da Pwi Dua, l’essere che ha rapito il babbo della nostra coraggiosa Tchia. Ebbene, siccome i tarpani sono realizzati in tessuto e la nostra dodicenne non è certo una combattente, l’unica per ridurli a miti consigli (leggasi: in cenere) sarà quella di dare loro fuoco. Come? Possedendo per esempio delle lanterne…
Si scopre così che un titolo all’apparenza basato sull’esplorazione senza finalità ludiche ha in realtà piccole derive tipicamente adventure, anche se il sistema di combattimento non raggiunge mai stratificazioni degne di nota e le stesse lotte coi nemici restano quasi appendice del gioco stesso. La piccola non potrà possedere oggetti e animali ad libitum, perché deve fare i conti con la stamina. Tuttavia piccoli potenziamenti la attendono all’interno dei dungeon presenti.
Che si tratti di possedere una noce di cocco per rotolare per un pendio senza sfracellarsi, un pesce chirurgo blu per affrontare la barriera corallina o un gabbiano per spiccare il volo (la fauna è piuttosto numerosa e ben riprodotta), il divertimento è assicurato e conferma il fatto che il Salto dell’anima sia l’elemento clou del gioco, capace di differenziarlo rispetto alle tante imitazioni di The Legend of Zelda sviluppate da startup del videoludo.
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Certo, le ristrettezze del team si avvertono in diversi passaggi, magari quelli nei quali le animazioni e le compenetrazioni lasciano a desiderare o le meccaniche di gioco si affidano troppo rigidamente a vecchi stilemi (fai questa consegna, poi torna a parlare col personaggio che te l’ha commissionata) stridendo con la natura open world.
Ma in linea di principio, Tchia è davvero una piacevole e coloratissima sorpresa, soprattutto per l’utenza più giovane. L’aspetto più bello, è che il videogioco permette di scoprire angoli del globo sicuramente preclusi ai più, tirando la volata a comunità che vivono d turismo: la giovane startup per il doppiaggio si è rivolta ad attori locali che si esprimono nei linguaggi tradizionali. Ulteriore riprova delle finalità sociali che i videogiochi possono avere.