Oggi, come mai, ritengo che ci sia bisogno all’interno delle società di ordine e di una corretta informazione. Ci sono mille possibilità per vedere realizzate e valorizzate le proprie idee ed i propri progetti ma ancora troppo spesso ciò non accade per motivi del tutto banali. Una parte ancora troppo consistente di imprenditori ritiene erroneamente che le risorse su cui sono basate le proprie società siano “fisiche”, quando è esperienza comune che l’economia contemporanea sia sempre più guidata da beni immateriali: negli anni 80’, meno di un terzo di tutti gli asset dell’S&P 500 era classificato come intangibile, mentre nel 2020 la percentuale è arrivata a quasi il 90%! Fatto sta che spesso la proprietà intellettuale viene del tutto trascurata finchè le società (siano esse consolidate o delle startup) non sono costrette a confrontarsi con qualche contraffazione (sia essa subita o messa in atto- più o meno volontariamente) o scoprono che grazie all’IP si può beneficiare di qualche incentivo/sgravio fiscale. E questo è un vero peccato. Proprio perché l’economia ormai si è modificata e rotea intorno agli intangibles, perché non incominciare ad investire su di essi in maniera più strutturata? In fondo, non vi è chi non abbia un “asset” da proteggere: che sia un marchio, un brevetto, un know how o un diritto protetto col diritto d’autore. Basterebbe stabilire un percorso virtuoso che preveda innanzitutto l’identificazione di cosa si abbia “in pancia”: un marchio, un marchio ed un prodotto proteggibile col design? Un software ed un brevetto? O più “semplicemente” un know how… Troppo spesso si fa innovazione senza sapere di farla e così molti imprenditori non si rendono conto che il loro lavoro potrebbe rappresentare un prezioso asset. Sarebbe fondamentale mettersi in quest’ottica e periodicamente verificare se ci sia qualcosa che valga la pena di proteggere. Non ha senso spendere soldi per marchi che non stanno in piedi o schermarsi dietro il vecchio ritornello: “tanto non ne vale la pena depositare un brevetto perché mi cambiano un dettaglio ed il brevetto non vale più”! Per molte società, il marchio ed i brevetti, ad esempio, sono la principale forma di proprietà intellettuale con cui proteggersi, dovrebbero quindi informarsi su cosa sia un marchio e come sceglierlo, su cosa sia un brevetto, come ottenerlo, come venga applicato e come possano essere interpretati i brevetti di terzi e che ruolo giochino. Se è proprio così vero che ci vuole così poco ad “aggirare” un brevetto perchè allora non sfruttare il sistema e farlo “scientemente”? Una volta individuato/i gli asset bisognerebbe puntare sulla riservatezza, per lo meno fintanto che non ci si è informati se sia brevettabile o meno o se non sia meglio sfruttarlo in segretezza. Non ci dovrebbe essere bisogno di dire che un’idea geniale dovrebbe essere mantenuta riservata, peccato che nella pratica sia più facile a dirsi che a farsi. Troppo spesso c’è l’ansia di comunicare al mondo di essere arrivati primi, non sapendo che così facendo, si rischia di bruciarsi la possibilità di brevettare: presentare una relazione a una conferenza, pubblicare un articolo su una rivista o inserire alcune informazioni cruciali sul proprio sito web bastano a far perdere la cd. novità, requisito indispensabile per ottenere un brevetto. Una società “vale” se ha individuato i propri asset e li ha adeguatamente protetti: un eventuale investitore conosce bene il valore della proprietà intellettuale. I venture capitalist utilizzano i brevetti come prova che una società è ben gestita e per capire in quale fase di sviluppo sia ed a quale mercato possa accedere. La prima cosa che faranno sarà una due diligence proprio per verificare la qualità e l’accuratezza dei titoli di proprietà intellettuale e se siano state attuate tutte le misure necessarie alla protezione di un eventuale know how (a sua volta foriero di eventuali brevetti).. Alcune volte si assiste addirittura al fenomeno inverso: c’è addirittura l’ansia di brevettare. E così può accadere di depositare troppo presto e di ottenere la concessione di brevetti che non sono in linea con i beni che poi effettivamente si commercializzano: il prodotto finale può essere molto diverso dalla visione originale. Spesso ci vogliono anni per far arrivare il proprio prodotto sul mercato e brevettare troppo presto, oltre che portare ad un brevetto distante dal prodotto che poi effettivamente si commercializzerà, riduce la durata della protezione su cui contare e soprattutto induce a continuare effettuare nuovi depositi onde colmare il gap tra primo deposito e prodotto finale, incrementando così i costi da sostenere. Proteggere, tuttavia, badate bene, non vuol dire solamente depositare un titolo di ip e vederselo concedere o mettere in atto tutte le misure universalmente note per proteggere il proprio know how, significa anche avere contratti in ordine, in cui sia chiaro “di chi è che cosa” e chi “è pagato per fare cosa”. E’ importante che si abbiano tutti i documenti e le “liberatorie” necessarie da parte dei propri dipendenti e collaboratori nonché (e soprattutto) dai propri soci fintanto che tutti vanno d’accordo e collaborano, onde scongiurare inutili beghe in merito alla titolarità dei propri asset.
Troppo spesso si fa innovazione senza sapere di farla e così molti imprenditori non si rendono conto che il loro lavoro potrebbe rappresentare un prezioso asset