Per il longform domenicale l’intervento integrale del teologo francescano, membro del nuovo organo dell’Onu per l’intelligenza artificiale, intervenuto al convegno “IDIA – dentro l’Intelligenza artificiale”: «Questa tecnologia sta cambiando il mondo, l’Italia deve accelerarne lo sviluppo»
La spiritualità come “retta via” lungo la quale far progredire le tecnologie. È la visione, oltre che la speranza, di Padre Paolo Benanti, francescano del Terzo Ordine Regolare e docente di Teologia morale ed Etica delle tecnologie presso la Pontificia Università Gregoriana, tra i 38 esperti che compongono il nuovo organo consultivo delle Nazioni Unite per l’Intelligenza Artificiale. Il suo obiettivo è formulare raccomandazioni in vista del Summit del Futuro in programma per settembre 2024, quando gli Stati membri dell’Onu si riuniranno insieme ad associazioni non governative, organizzazioni della società civile, istituzioni accademiche e privati per costruire un nuovo consenso globale su come dovrà essere il nostro futuro. Anche sul piano dell’innovazione e delle tecnologie. Settore assai caro a Padre Benanti, che ha preso parte a “IDIA – dentro l’Intelligenza Artificiale”, evento dedicato alla rivoluzione che l’AI sta apportando alle nostre vite. Ecco cosa ha detto.
***
L’AI nelle nostre vite
«Quello che sta accadendo in questo momento è che si vede come l’Intelligenza Artificiale, di fatto, non solo sia già presente nelle nostre vite, ma sia già molto efficace ed efficiente nel cambiare tutta una serie di nostre relazioni umane e anche nel definire alcune politiche internazionali; in particolare per quelli che sono i grandi obiettivi dell’Onu rispetto agli ESG, gli obiettivi di sostenibilità e di sviluppo globale. Questo ha portato il segretario generale António Guterres a voler mettere l’AI al centro di un’analisi e di un focus, per poi poter portare il prossimo anno, nel forum del futuro delle Nazioni Unite, un documento che possa servire come piattaforma per eventuali discussioni e accordi internazionali».
L’AI Advisory Board dell’Onu
«Quello che mi è stato chiesto di fare è di essere uno dei 38 membri di questo board che ha un compito un po’ ingrato, cioè dover produrre un documento in tempi molto veloci per poter essere portato alla discussione globale e poter raccogliere suggerimenti, integrazioni e stimoli da parte di quelle che sono tutte le nazioni aderenti alle Nazioni Unite. Quindi, di fatto, il board si riunisce, inizia a lavorare su quello che potrebbe essere uno schema di un documento breve e sintetico, diviso in tre grandi aree – opportunità, rischi e possibili forme di negoziazione internazionale – e l’esperienza di per sé è molto interessante perché c’è un approccio globale e plurale dove non sono nascoste, a volte, le visioni diverse e anche le tensioni, ma dove si vede anche un desiderio di fondo di mitigare in qualche misura tutti quelli che potrebbero essere i rischi di questa nuova tecnologia».
L’AI che cambia il mondo
«Occupandomi di etica delle tecnologie anche in una prospettiva storica, quello che vedo è una cosa che è già accaduta in passato: quando sviluppiamo delle tecnologie, normalmente una tecnologia si chiama special purpose, cioè serve a fare qualcosa di specifico e risponde a una domanda dell’uomo: “Ho fame?”, sviluppo la zappa, l’aratro tirato a spalla, poi l’aratro tirato dai buoi e oggi posso pensare a un trattore a guida autonoma. Però ci sono dei momenti nella storia dell’uomo in cui sviluppiamo tecnologie che non servono a fare una cosa, ma cambiano il modo di fare tutte le cose, come la corrente elettrica, che ha cambiato il modo di fare tutto. Queste tecnologie, che si chiamano general purpose, hanno di solito un impatto globale e influenzano i grandi e lunghi cicli dell’economia. L’AI, in questo momento, è una general purpose technology, non serve a fare una cosa, ma sta cambiando il modo in cui facciamo tutte le cose. Quando abbiamo distribuito la corrente elettrica abbiamo visto che ci sono stati due modelli di distribuzione: uno guidato da Samuel Insull negli Stati Uniti d’America, che pensava di democratizzare – quello che gli inglesi pensano che significhi questa parola – la corrente elettrica abbassandone il prezzo, cosicché le famiglie la comprassero e tutti iniziassero a usare la corrente elettrica. Di contro assistiamo al primo piano quinquennale di Lenin – si chiama GOELRO – che prevedeva la sovietizzazione delle repubbliche mediante la distribuzione della corrente elettrica».
L’urgenza di un confronto politico
«Una general purpose technology non è mai neutrale, ma porta con sé una visione del mondo, un’organizzazione sociale, potremmo dire una visione politica della realtà. Ecco, siccome l’AI è destinata a fare la stessa cosa, è chiaro che diverse visioni politiche di fondo si stanno confrontando e va letto in questo senso tutto ciò che sta accadendo con l’Executive Board di Biden, con Bletchey Park a Londra, con le regolamentazioni in 12 punti che stanno emergendo in Cina e con il tentativo europeo di fare l’AI Act. Siccome sarà pervasiva l’AI e toccherà le diverse dimensioni del nostro esistere, è chiaro che la dimensione politica di tutto questo va discussa e concordata. Non solo bisogna avere un orizzonte, ma bisogna anche discutere quali sono gli orizzonti degli altri che ci vedono queste soluzioni».
Lo scenario in Italia
«È evidente che l’Italia ha bisogno di queste tecnologie per rimanere competitiva a livello globale. E noi dobbiamo chiederci se, come Italia e come Europa, vogliamo semplicemente schiacciarci su un modello di procurement, cioè scegliere da cosa comprare e da chi comprare, cercando di dare delle regole di mercato, o se invece non sia il caso di avere anche un modello di producing, cioè iniziare a creare quelle condizioni per cui qualcosa – non chiaramente la potenza di fuoco dei grandi modelli che esistono oggi – ma qualcosa vogliamo accelerare anche noi. Questa è una cosa che in passato noi abbiamo fatto quando ci sono state le stesse condizioni per altre tecnologie. Quando è stato il momento della corrente elettrica è nato Enel, per le telecomunicazioni è nata la SIP, che era la Società idroelettrica piemontese: acquistata la parte elettrica dall’ENEL, si è rigiocata nell’ottica delle telecomunicazioni. Quando il problema sono state le energie petrolchimiche è nata l’ENI. È evidente che, probabilmente, l’ENI non ha mai avuto il potere di combattere con le sette sorelle, ma ha avuto un potere di mitigazione per il Paese. Ecco, di fronte a una tecnologia così pervasiva come l’AI dobbiamo chiederci se non sia il caso anche di iniziare a creare le condizioni politiche per produrre e sviluppare qualcosa in casa».