Arriva Scalabox Farm, che permette di coltivare verdure bio in idroponica ovunque, persino sulle navi da crociera. “Prima della pandemia ci occupavano di ricambi per bus turistici, abbiamo dovuto reinventare il lavoro e la vita”
Nuova vita per i container navali inutilizzati. Ricondizionati, diventano il luogo ideale dove coltivare ortaggi, micrortaggi e funghi in idroponica e in vertical farm. Il tutto in condizioni ottimali, grazie a un sistema di controllo informatizzato utilizzabile anche da remoto tramite app. L’intuizione è stata dei fratelli Giovanni e Benedetto Scalabrini che, reagendo alle difficoltà del Covid – 19, hanno saputo unire tecnologia, passione ed esperienza, facendo rete. È nata così ScalaBox Farm, startup dell’Emilia Romagna che permette di avere sempre e ovunque, in mare aperto come in città, verdure fresche biologiche prodotte in modo sostenibile.
Leggi anche: Funghi dai fondi di caffè? In un vivaio abbandonato si fa innovazione e si sperimenta
Container ricondizionati nuovi orti biologici trasportabili
“Durante la pandemia la nostra azienda, che si occupa di ricambi per autobus turistici, ha dovuto reinventarsi – racconta a StartuItalia Giovanni Scalabrini, cofounder di ScalaBox Farm – Ho deciso di frequentare un corso web per imparare a coltivare ‘fuori suolo’ e ho conosciuto Antonio Di Giovanni della Circular Farm che produce funghi senza terra, sui fondi di caffè. Avendo oltre 20 anni di esperienza nel campo dei ricambi, mi è venuta l’idea di creare un ambiente ottimale dove poter coltivare in modo sostenibile e circolare, unendo l’agricoltura 4.0 alla mia esperienza. L’interno di un autobus non è poi così diverso da quello dei container navali inutilizzati”.
Con il motto Non esistono rifiuti ma risorse i fratelli Scalabrini hanno così fatto diventare una farm il loro primo container inutilizzato. L’intuizione gli è valsa, nel 2021, il premio della Regione Emilia Romagna riservato alle startup che hanno idee innovative nel campo della transizione ecologica.
L’agricoltura 4.0 per orti urbani… e marini
Il container ideato dalla ScalaBox Farm si adatta sia alla creazione di una urban farm (fattoria urbana fuori suolo in città metropolitane) anche su più livelli dato che i box possono essere sovrapposti ottimizzando lo spazio a disposizione, sia alla creazione in nave o in altri luoghi, di veri e propri orti biologici.
I container ricondizionati sono ideali per essere trasportati così da avere, anche in crociera per esempio, verdure e ortaggi bio a Km zero. In ogni box, poi, è possibile coltivare su 4 livelli, aumentando la produzione. Dal pannello di controllo, visibile sullo smartphone, è possibile monitorare il consumo di energie e risorse. In un container farm si possono raccogliere fino a 300 kg al mese di funghi Pleurotus e 250 di funghi Shiitake.
“Grazie alla domotica e all’agricoltura 4.0 – continua Giovanni Scalabrini – i nostri container permettono di produrre in un ambiente controllato e ottimale. I sensori, posizionati nel box, possono trasmettere i dati in tempo reale su temperatura, umidità e CO2 direttamente al cellulare. Da remoto, inoltre, si possono impostare i parametri ideali per ogni fase della crescita delle varie colture. I dati trasmessi al sistema centrale e analizzati da un algoritmo, servono anche come memoria storica oltre che per tener sotto controllo il consumo di energia elettrica e di risorse. Sono i sensori, qualora la temperatura degli ex container frigo sia diversa da quella ottimale impostata, ad azionare l’aria condizionata e spegnerla quando è stato raggiunto lo status ideale”.
Così si risparmiano risorse ed energia
I punti di forza di questi container – fattorie, sono: il limitato consumo energetico (coltivando in idroponica, neppure una goccia d’acqua viene sprecata oltre che un uso oculato dell’energia elettrica), l’elevata produzione in poco spazio, il controllo tramite app e la trasportabilità. In città come in mezzo all’oceano, la farm creata nei container ricondizionati può produrre in ogni stagione in modo biologico.
Questi box coibendati, oltre che essere collegati anche a impianti alimentati da energie green (biogas e biomasse), possono autoalimentarsi grazie al tetto coperto da pannelli fotovoltaici. Invece, una volta esausto, il sostrato della coltivazione idroponica può essere rigenerato ed entrare nella catena alimentare come concime bio. Un’arma in più per contrastare il cambiamento climatico, fermare il consumo di suolo agricolo e risorse e allo stesso tempo dare una risposta efficace alla crescente domanda di cibo naturale, obiettivi che l’Unione Europea e le Nazioni Unite (tramite la Fao e i programmi Green New Deal e Farm to Fork) vogliono raggiungere entro il 2030.
“L’idea, scalabile e riproducibile in città come in campagna o in mare aperto – continua Giovanni Scalabrini – non solo dà nuova vita a materiali destinati alla distruzione, ma serve anche per sensibilizzare alla produzione e al consumo di cibo sostenibile ed ecologico. Nel nostro piccolo cerchiamo di contrastare il cambiamento climatico senza che nessuno rinunci a un’alimentazione sana e naturale, anche in città. Abbiamo intenzione, continuando il percorso di sviluppo e ricerca, di sfruttare nuovi software gestionali, ricorrendo anche a nuove tecnologie Ble, in modo da rendere ancora più performanti i nostri container e riuscire, poi, a venderli a un prezzo ancora più accessibile. Per questo abbiamo intenzione, a breve, di lanciare un round e intercettare nuovi investitori”.
I container navali urban farming del futuro?
Un fenomeno, quello dell’urban farming (agricoltura urbana bio e Km 0) che nell’ultimo decennio ha visto una crescita esponenziale in tutto il mondo. Era il 2010 quando a New York sorgevano i primi orti urbani della Brooklyn Grage, sui tetti dei grattacieli nella Grande Mela. La passione è poi dilagata in tutto il mondo. A Tokyo, per esempio, con l’Urban Farming Ground Zero (giovani contadini urbani producono verdura rigorosamente bio in campi recuperati da molte zone della città e li immortalano facendoli girare sui social con il marchio Tokyoneofarmers). Fino ad arrivare in Thailandia dove troviamo il più grande orto urbano su un tetto, quello del Rangsit Campus della Thammasat University.
Anche in Italia il fenomeno ha avuto una forte espansione, intercettando sempre più persone che, attente e sensibili a uno stile di vita sostenibile, hanno creato fattorie a Km zero biologiche, sia sui tetti dei palazzi che nel cuore di metropoli, riqualificando zone degradate e spazi inutilizzati. Tra le città italiane più sensibili all’urban farming, svetta Milano.
Sempre nell’ultimo decennio, da quando nel 2012 a Singapore è nata Sky Greens Farm, la prima fattoria verticale del mondo, anche la coltivazione in vertical farm è cresciuta, spinta sia dalla sostenibilità delle produzioni che dall’alta produttività. Ecco che oggi, anche in Italia, aziende come Planet Farm, Agricola Moderna, Circular Farm e Vertical Farm Italia (solo per citare alcune delle startup che hanno costruito il loro successo puntando sulla coltivazione di ortaggi e verdure fuori suolo e in idroponica), hanno saputo conquistarsi una fetta sempre crescente di mercato, intercettando tutta quella fascia di consumatori sensibili alla lotta al cambiamento climatico, alla produzione sostenibile e all’agricoltura innovativa e circolare.
I container ricondizionati di Scalabox Farm sono la sintesi di questi due stili di coltivazione e consumo, essendo in grado di racchiudere in box, altrimenti destinati alla dismissione, urban farming e vertical farm. Inoltre guardano al futuro. Potrebbero essere la naturale evoluzione delle fattorie urbane verticali. Facilmente trasportabili, in mare come in città, senza consumare suolo e centellinando l’uso delle risorse grazie all’agricoltura 4.0 e alla tecnologia, è possibile avere orti bio ovunque e sempre in produzione.